venerdì 25 marzo 2011

Elvira Corona, inviata unimondo scrive:

Strana guerra quella che si sta combattendo in Libia. O forse no, non è una guerra. O si, è una guerra ma noi non stiamo combattendo visto che “finora non abbiamo sparato un solo missile” - come dice il ministro La Russa. E', comunque, la prima guerra/non guerra combattuta/non combattuta da un gruppo di “volenterosi” autorizzati da una risoluzione del Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite.

E, come sempre in tempi di guerra, le notizie dei giornali e delle reti generaliste sono pressochè simili. Ci si scambia presunti autorevoli ospiti da intervistare, si mandano in onda servizi con le stesse immagini - effetto della globalizzazione dell'informazione o tentativi di manipolazione dell'opinione pubblica - per far credere alla casalinga di Voghera che la guerra è l'unica soluzione.

Oltre gli appelli delle associazioni pacifiste che denunciano che “così non si difendono i diritti umani”– e basta un po' di buon senso per capirne le ragioni – ci sono anche una serie di paesi che dichiarano il loro “no alla guerra”, chiedendo maggiore voce in capitolo nelle decisioni così rilevanti e mettendo in discussione l'organo internazionale più importante che dal 1948 a oggi ha fatto il bello e il cattivo tempo: il Consiglio di Sicurezza della Nazioni Unite.

Sono i paesi dell'America Latina, alcuni dei quali siamo abituati a chiamare emergenti, ma che ormai sono emersi e reclamano l'attenzione che finora non gli è stata concessa, Brasile in primis.

La neo-presidente Dilma Rousseff ha affermato martedì scorso che il suo paese è a favore di una soluzione pacifica del conflitto. “L'intervento militare sta avendo l'effetto contrario a quello desiderato e anziché proteggere i cittadini libici provocherà più morti” – ha dichiarato la Roussef da Manaus. E ha specificato che “Non è solo una nostra posizione, ma è anche quella di Germania, Cina, India e Russia”. Tutti i paesi che si sono astenuti nella votazione dello scorso 17 marzo, e gli ultimi tre insieme a Brasile e Sudafrica fanno parte del BRIC, il gruppo dei paesi emergenti che sta cercando di guadagnare sempre più spazi negli appuntamenti internazionali.

La Roussef ha quindi aggiunto che “Non ci potrà essere un Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite riformato senza che paesi come India e Brasile abbiano un posto come membri permanenti. Il Brasile oggi è la settima economia mondiale, tra pochi anni saremo la quinta, la quarta o forse la sesta, ad ogni modo non è concepibile un Consiglio di Sicurezza riformato senza che questo paese abbia un seggio permante”.

Anche Daniel Ortega presidente del Nicaragua ha chiesto “che termini l'aggressione contro la nazione nordafricana, che si finisca con le bombe e si promuova un meccanismo di dialogo”. E anche lui si è espresso sulla decisione del Consiglio di Sicurezza: “Se sono decisioni che mettono a rischio tutto il mondo sarebbe più logico che queste decisioni vengano prese dall'Assemblea Generale e che i 192 paesi decidano dopo una discussione”.

Dall'Uruguay anche Pepe Mujica si è unito al coro dei contrari affermando che “Pretendere di salvare vite umane con i bombardamenti è un controsenso inspiegabile” aggiungendo che “questo attacco implica un retrocedere dell'ordine internazionale vigente”.

Negli ultimi giorni oltre a Brasile, Nicaragua, Venezuela e Uruguay, anche Argentina, Bolivia ed Ecuador hanno condannato l'intervento armato, mentre è appoggiato da Perù e Colombia, quest'ultima votando la risoluzione come membro non permanente del Consiglio di Sicurezza.

Il gruppo dei paesi dell'ALBA (Alianza Bolivariana de Nuestra America) con il Venezuela in testa, aveva persino proposto una mediazione qualche giorno prima che venisse votata la risoluzione n.1973, ma è stata lasciata cadere nel vuoto dalla comunità internazionale che invece ha preferito l'alba dell'odissea.

Nonostante questo, la crisi libica – che ha risollevato le voci per un’effettiva riforma del Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite e dei suoi meccanismi decisionali – appare come il preludio che indica che stavolta, forse, siamo finalmente all’alba di qualcosa di nuovo. Che tutti ci auguriamo non sia l’ennesima poltrona riservata a chi può decidere di dichiarare la guerra.

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