giovedì 24 marzo 2011

La più piccola di casa

Chissà quanti di noi riescono a datare il loro primo ricordo. Io ad esempio ricordo in maniera molto nitida uno dei miei primi momenti di coscienza infantile. Era estate e con i miei genitori eravamo andati a trovare i miei nonni che vivevano in un piccolo paese dell'entroterra siciliano. Avevo un vestitino azzurro su cui erano cuciti tanti delicati nastrini bianchi. Come andavo fiera di quel vestitino. Lo avevo notato in un negozietto della via roma ed avevo costretto mia madre a comprarlo perchè ne ero rimasta innamorata. Fu un vero colpo di fulmine durato poi anni perchè anche quando oramai era diventato troppo piccolo per essere indossato, mi piaceva tirarlo fuori dall'armadio e ammirarlo come fosse un dono prezioso da conservare per sempre. Non sapevo che qualche tempo dopo sarebbe finito tra le scorte che la mia mamma periodicamente portava al centro per poveri di Biagio Conti. Ricordo che scesa dall'auto, mio nonno mi accolse con una sua tipica espressione che io adoravo, a dir poco, e che ancora oggi immagino risuonare in una stanza quando sento l'esigenza di abbellire un certo momento di accuratezza stilistica da me realizzato. Fui talmente contenta di sentirgli pronunciare quella sola unica ma tanto cara parola che corsi con le mie "occhio di bue" ad abbracciarlo calorosamente.
Era il primo pomeriggio di un sabato di agosto, quindi c'era un caldo da rimanere con la lingua penzoloni come i cani ma mio nonno stava col suo cappello di paglia tra gli alberi d'olivo a preparare la gebbia per la sera. In veranda mia nonna sbucciava fave e piselli che sarebbero poi stati il nostro contorno per cena.
Adoravo quel momento, aprire i bacelli e far scivolare con le dita quelle piccole palline verdi e di nascosto mangiarne qualcuno. Così abbracciato il nonno mi fiondai sulla sedia di tela della veranda per partecipare a quella attività tanto ritmata. Spesso però i primi anni della nostra vita finiscono in quell'immenso accumulatore rappresentato dalla cosiddetta infanzia smemorata, di cui ricordiamo quasi niente ma che risultano importanti per la nostra formazione individuale. Da parte mia, mi sono sempre considerata abbastanza fortunata perchè di ricordi nitidi e pieni di dettagli ne ho davvero molti e per mia buona sorte anche dalle sfaccettature decisamente positive. I pomeriggi trascorsi con gli amici di quel tempo tra una gara in bicicletta ed una sui pattini. Le belle statuine del millenovecento che prendevano vita nello spiazzale di fronte casa insieme ad una bizzarra strega che comandava variopinti colori e quel delizioso ascaretto pralinato Moreno che mangiavo con una tale metodicità da prolungarne l'esistenza a dismisura. Prima tutto il cioccolato e poi pian piano la crema al gusto vaniglia che costituiva il ripieno. Giocare coi chiodini marca Coloredo, con relative lavagnette di diverse misure su cui si mettevano i piolini multicolori in modo da formare le figure che poi si potevano smantellare per ricominciare daccapo. Evitare che il Corriere dei Piccoli, tramite referendum fra i lettori si trasformasse in Corriere dei Ragazzi e seguire le avventure di Pucci, la cagnolina a pois dalle lunghe orecchie penzoloni. Non perdere neppure un numero delle Fiabe Sonore:("A mille ce n'è / nel mio cuore di fiabe da narrar…). Non andare a scuola, rimanere in casa la mattina degli ultimi giorni di maggio, quando c'era la Fiera del Mediterraneo e costringere mio padre a farmi portare sulle giostre o ad ammirare il leone Ciccio della Villa Giulia, qualche anno dopo portato via per colpa della bravata di un idiota introdottosi di nascosto nella sua gabbia. Collezionare i pupazzetti adesivi sagomati che si trovavano nelle confezioni da quattro del formaggino Mio. Possedere, orgogliosamente, una trottola in legno, in grado di rimanere in equilibrio sugli spigoli più inaspettati, o addirittura su un filo, che mio fratello mi aveva regalato
ed insegnato a far ruotare. Si lanciava e con movimento di polso prendeva forma ed energia su qualsiasi piano stabile persino il palmo della mano del mio papino. Quel periodo insomma è una nitida nebulosa infantile (e scusate l'ossimoro), fitta di suggestioni da scongelare e consumare con calma, nell'arco di tutta l'adolescenza, e anche oltre. Suggestioni che ancora oggi quando guardo un cielo stellato mi tornano in mente e mi strappano un sorriso nostalgico e talvolta malinconico. Ero solo una bambina, la più piccola di casa.

2 commenti:

  1. :P Era la Pimpa, non Pucci... ;)

    ehh... l'infanzia... fortunatamente non l'ha inventata l'uomo, sennò avrebbe rovinato anche quella...

    Mi piace tutto! Grazie per averlo condiviso :)

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  2. Hai ragione, era Pimpa quella del corriere dei piccoli!!! :P Mi sono confusa con un'altra cagnolina il cui giornalino adoravo
    http://it.wikipedia.org/wiki/Poochie_%28gioco%29

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