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mercoledì 27 aprile 2011

Popolo delle Libertà?


In occasione della decisione di partecipare al bombardamento libico in comune accordo con gli Stati Uniti d'America, decido di mandare una mail al capo del consiglio dei ministri, primo mafioso, barzellettiere, uomo ridicolo, viscido, umiliante. Il corpo della mail, di seguito riportato, è stato inviato al deputato Silvio Berlusconi presso il sito della Camera dei Deputati, in data odierna.
Suggerisco a tutti i lettori di fare lo stesso e di dissociarsi dal comportamento di quello scellerato. Nella mail mi sono firmato col mio nome completo.

OGGETTO: popolo delle libertà?

"(Avrei voluto iniziare la missiva con un bel "Gent."; ma poi ho rinunciato per evidenti motivi.)

Silvio Berlusconi,
le invio questa breve lettera per comunicarle il mio dissenso dai suoi atteggiamenti avuti durante la sua vita intera e, specialmente, nel frangente degli ultimi 20 anni. Se vogliamo essere ancora più precisi, rispetto alle dichiarazioni degli ultimi giorni, quando ha accettato e confermato l'attacco alla Libia. Le ricordo che, secondo l'art.11 della Costituzione italiana, l'Italia RIPUDIA la guerra in ogni sua forma. Non le sto a citare il resto; ma mi vorrei soffermare sulla parola RIPUDIA. Il significato di questa parola così antica è quello di rifiutare sdegnati, allontanare, negare; non bombardare. Comprende?
Mi vergogno di lei: come politico, come italiano e come uomo. Spero che gente come lei non rinasca né torni su questa terra. Non ne abbiamo bisogno e, anzi, bisognerebbe che quelli che già ci sono si facessero da parte. Lei, in particolar modo, si dovrebbe far giudicare dai magistrati per tutti i 22 processi, anche quelli caduti per mano sua e passare gli anni che le restano da vivere in carcere. Se lei vorrà, potrà beneficiare della lunga vita fino ai 120 anni, come ha espressamente desiderato. In carcere, però.
Che Dio possa avere pietà della sua anima. E di Noi.

Riassumendo: mi vergogno di lei come essere umano; dissento dal bombardamento; spero che passi il resto della sua vita in carcere. Dissento nel modo più assoluto il suo comportamento e mi dissocio. Lei non parla né agisce in mio nome.

Cordialmente,
D. B."

mercoledì 30 marzo 2011

venerdì 25 marzo 2011

Elvira Corona, inviata unimondo scrive:

Strana guerra quella che si sta combattendo in Libia. O forse no, non è una guerra. O si, è una guerra ma noi non stiamo combattendo visto che “finora non abbiamo sparato un solo missile” - come dice il ministro La Russa. E', comunque, la prima guerra/non guerra combattuta/non combattuta da un gruppo di “volenterosi” autorizzati da una risoluzione del Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite.

E, come sempre in tempi di guerra, le notizie dei giornali e delle reti generaliste sono pressochè simili. Ci si scambia presunti autorevoli ospiti da intervistare, si mandano in onda servizi con le stesse immagini - effetto della globalizzazione dell'informazione o tentativi di manipolazione dell'opinione pubblica - per far credere alla casalinga di Voghera che la guerra è l'unica soluzione.

Oltre gli appelli delle associazioni pacifiste che denunciano che “così non si difendono i diritti umani”– e basta un po' di buon senso per capirne le ragioni – ci sono anche una serie di paesi che dichiarano il loro “no alla guerra”, chiedendo maggiore voce in capitolo nelle decisioni così rilevanti e mettendo in discussione l'organo internazionale più importante che dal 1948 a oggi ha fatto il bello e il cattivo tempo: il Consiglio di Sicurezza della Nazioni Unite.

Sono i paesi dell'America Latina, alcuni dei quali siamo abituati a chiamare emergenti, ma che ormai sono emersi e reclamano l'attenzione che finora non gli è stata concessa, Brasile in primis.

La neo-presidente Dilma Rousseff ha affermato martedì scorso che il suo paese è a favore di una soluzione pacifica del conflitto. “L'intervento militare sta avendo l'effetto contrario a quello desiderato e anziché proteggere i cittadini libici provocherà più morti” – ha dichiarato la Roussef da Manaus. E ha specificato che “Non è solo una nostra posizione, ma è anche quella di Germania, Cina, India e Russia”. Tutti i paesi che si sono astenuti nella votazione dello scorso 17 marzo, e gli ultimi tre insieme a Brasile e Sudafrica fanno parte del BRIC, il gruppo dei paesi emergenti che sta cercando di guadagnare sempre più spazi negli appuntamenti internazionali.

La Roussef ha quindi aggiunto che “Non ci potrà essere un Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite riformato senza che paesi come India e Brasile abbiano un posto come membri permanenti. Il Brasile oggi è la settima economia mondiale, tra pochi anni saremo la quinta, la quarta o forse la sesta, ad ogni modo non è concepibile un Consiglio di Sicurezza riformato senza che questo paese abbia un seggio permante”.

Anche Daniel Ortega presidente del Nicaragua ha chiesto “che termini l'aggressione contro la nazione nordafricana, che si finisca con le bombe e si promuova un meccanismo di dialogo”. E anche lui si è espresso sulla decisione del Consiglio di Sicurezza: “Se sono decisioni che mettono a rischio tutto il mondo sarebbe più logico che queste decisioni vengano prese dall'Assemblea Generale e che i 192 paesi decidano dopo una discussione”.

Dall'Uruguay anche Pepe Mujica si è unito al coro dei contrari affermando che “Pretendere di salvare vite umane con i bombardamenti è un controsenso inspiegabile” aggiungendo che “questo attacco implica un retrocedere dell'ordine internazionale vigente”.

Negli ultimi giorni oltre a Brasile, Nicaragua, Venezuela e Uruguay, anche Argentina, Bolivia ed Ecuador hanno condannato l'intervento armato, mentre è appoggiato da Perù e Colombia, quest'ultima votando la risoluzione come membro non permanente del Consiglio di Sicurezza.

Il gruppo dei paesi dell'ALBA (Alianza Bolivariana de Nuestra America) con il Venezuela in testa, aveva persino proposto una mediazione qualche giorno prima che venisse votata la risoluzione n.1973, ma è stata lasciata cadere nel vuoto dalla comunità internazionale che invece ha preferito l'alba dell'odissea.

Nonostante questo, la crisi libica – che ha risollevato le voci per un’effettiva riforma del Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite e dei suoi meccanismi decisionali – appare come il preludio che indica che stavolta, forse, siamo finalmente all’alba di qualcosa di nuovo. Che tutti ci auguriamo non sia l’ennesima poltrona riservata a chi può decidere di dichiarare la guerra.

Ripassando un po' di storia

1911: Il liberale Giolitti scatena una guerra coloniale contro la Turchia che dominava la Libia. Un contrattacco arabo-turco sorprende i bersaglieri italiani e ne uccide 500. La repressione è spietata: oltre 2000 arabi sono fucilati o impiccati e 5.000 vengono deportati in Italia.

1930: La resistenza libica era molto forte in Cirenaica. Il generale Rodolfo Graziani, inviato da Mussolini, mette “a ferro e fuoco” tutta la zona. Confisca i centri spirituali e assistenziali e sbarra con campi minati la frontiera con l’Egitto, annienta le mandrie e brucia i raccolti, usa gas e armi chimiche contro i civili. Tutta la popolazione dell’altopiano della Cirenaica, cento mila libici, viene deportata in campi di concentramento nel deserto della Sirte. In 40mila moriranno per fame, epidemie, violenze, uccisioni. Per tre anni staranno rinchiusi in questi campi delimitati da doppio filo spinato. Ogni atto di ribellione o tentativo di fuga era punito con la morte. L’impiccagione avveniva a mezzogiorno, al centro del campo, dove tutti erano costretti a radunarsi. Ogni giorno, dicono i sopravvissuti, 50 cadaveri uscivano dal recinto.

1943: Finisce il periodo coloniale italiano in Libia. Nonostante un sistema infrastrutturale e civico l’eredità italiana è disastrosa: il 94% della popolazione è analfabeta, la mortalità infantile è al 40%, il reddito procapite non supera le 16 sterline all’anno, la struttura sociale è arretrata e solo 13 libici sono laureati, tra di loro non c’è nessun medico.

1956: Un trattato (ratificato con legge n. 843/1957) con il quale l’Italia acconsentiva al passaggio di proprietà di tutte le infrastrutture costruite dagli italiani in Libia e inoltre si impegnava a ripagare all’ex colonia i danni dell’occupazione.

1 settembre 1969: Tutto il governo italiano applaudì l’ascesa incruenta di Gheddafi che favorì la caduta della monarchia filo-occidentale del re Idris.

21 luglio 1970: Gli italiani furono privati di ogni loro bene, compresi i contributi assistenziali, finché furono costretti a lasciare il Paese entro il 15 ottobre del 1970. Dal 1970, ogni 7 ottobre in Libia si celebra il “Giorno della vendetta”, in ricordo del sequestro di tutti i beni e dell’espulsione di 20.000 italiani.

1976: Andreotti instaura un rapporto “molto franco” con Gheddafi. Plaude al libretto verde. Più tardi ne regalerà copia a Reagan.

1979: Gheddafi affida al regista siro-americano Mustafà Akkad l’incarico di girare in Cirenaica un Kolossal sulla resistenza libica contro gli italiani. A Cannes ottiene un buon successo ma non sarà mai ufficialmente proiettato in Italia. “Il film è sgradito” dirà il sottosegretario agli esteri Costa nel 1981 e nel 1987 una proiezione a Trento verrà proibita dalla Digos.

15 aprile 1986: Dopo un attacco alla discoteca La Belle di Berlino: 3 morti (2 dei quali sottufficiali statunitensi e centinaia di feriti) Gheddafi fu attaccato militarmente per volere del presidente statunitense Ronald Reagan: il massiccio bombardamento ferì mortalmente la figlia adottiva di Gheddafi, ma lasciò indenne il colonnello, che era stato avvertito del bombardamento da Bettino Craxi, allora Presidente del Consiglio in Italia. A seguire Gheddafi lanciò due missili Scud B contro l’isola di Lampedusa. Gli ordigni, fortunatamente, caddero in mare. La reazione militare italiana fu un pattugliamento delle acque di Lampedusa.

21 dicembre 1988:
Esplode un aereo passeggeri sopra la cittadina scozzese di Lockerbie: perirono tutte le 259 persone a bordo oltre a 11 cittadini di Lockerbie. L’ONU attribuì alla Libia la responsabilità di questo attentato aereo e chiese al governo di Tripoli l’arresto di due suoi cittadini accusati di esservi direttamente coinvolti. Rifiuto di Gheddafi. Le Nazioni Unite approvarono la Risoluzione 748, che sanciva un pesante embargo economico contro la Libia. Nel febbraio 2011, intervistato dal quotidiano svedese Expressen, l’ex ministro della giustizia Mustafa Mohamed Abud Al Jeleil ed attuale leader dei rivoltosi ha ammesso le responsabilità dirette del colonnello Gheddafi.

1989: A un vertice del G7 a Tokyo, nell’ 89 Reagan raccomandò Andreotti nell’aver mano ferma con il demone libico. Andreotti lo assicurò: “ma è un uomo leale ed ha un grande spirito religioso. Credo che quasi certamente finanziò gli integralisti islamici nel mondo, all’inizio, ma ora non più”.

Luglio 1998: Durante l’accordo Dini-Mountasser l’Italia “ esprime rammarico per le sofferenze arrecate al popolo libico a seguito della colonizzazione” e accetta le trentennali richieste libiche: aiuto ai tecnici libici per individuare i vecchi campi minati, risarcimento delle vittime saltate su quegli ordigni dimenticati e indagine sulla sorte dei deportati libici. Inizia la politica di ricatto sull’emigrazione.

2004: Il Mossad, la CIA e il Sismi individuarono una nave che trasportava la prova che Gheddafi possedeva un arsenale di armi chimiche. Invece di rendere pubblica la scoperta e sollevare uno scandalo, Stati Uniti e Italia posero a Gheddafi un ultimatum che questi accettò.

2006: Gheddafi scatena una campagna d’odio contro l’Italia in seguito ad una esibizione irresponsabile del ministro Calderoli che aveva indossato una maglietta con la famigerata “vignetta satanica” di Maometto. Morirono 11 persone durante la protesta davanti al consolato italiano di Bengasi.

30 agosto 2008: Con la firma del “Trattato di amicizia, partenariato e cooperazione tra la Repubblica italiana e la Grande Giamahiria araba libica popolare socialista”, il Presidente del Consiglio dei ministri Silvio Berlusconi e il leader della Rivoluzione, Muammar El Gheddafi hanno voluto chiudere il contenzioso fra i due paesi.

14 maggio 2009: Il ministro Maroni consegna le prime tre delle sei motovedette a Tripoli per “i pattugliamenti di contrasto all’immigrazione clandestina nel mar Mediterraneo”. Nel settembre del 2010, da una di quelle motovedette, i militari libici spararono senza alcuna giustificazione e in acque internazionali contro il peschereccio italiano Ariete. Nessuna reazione da parte del governo italiano, pago di aver ricevuto delle scuse formali.

10 giugno 2009: Gheddafi si reca per la prima volta in Italia in visita di Stato. Il leader libico si è recato al Campidoglio, a La Sapienza, alla sede di Confindustria e ha incontrato le massime cariche italiane. Durante la visita di stato ha mostrato, appuntata sulla divisa militare, una foto dell’eroe della resistenza libica antitaliana Omar al-Mukhtar, suscitando “perplessità”.

16 novembre 2009: Gheddafi torna in Italia, a Roma, per partecipare a un incontro della Fao. Durante il suo soggiorno romano, organizza alcuni dibattiti su Islam e Corano con circa cinquecento ragazze hostess, raccogliendo 104 adesioni, regolarmente stipendiate per la presenza.

febbraio 2011: La rivoluzione dei gelsomini fa insorgere anche i giovani libici. Il regime usa la forza più violenta assoldando mercenari da ogni dove in Africa. Organizzazioni dei diritti umani denunciano migliaia di morti in diverse città libiche.

17 marzo 2011: Viene approvata la risoluzione ONU 1973: No fly zone; protezione dei civili, da subito, a Bengasi; divieto di voli commerciali da e per la Libia; rafforzamento dell’embargo sulle armi, ma escludendo esplicitamente una “forza occupante” in Libia.

20 marzo 2011: La Lega si dissocia dall’intervento militare. Bossi: Io penso che ci porteranno via il petrolio e il gas e con i bombardamenti che stanno facendo verranno qua milioni di immigrati, scappano tutti e vengono qua”.

21 marzo 2011: Frattini pone condizioni alla Comunità Internazionale. O la NATO prenderà il comando delle operazioni o l’Italia si riprenderà le sue basi militari.

22 marzo 2011: Berlusconi: “Sono addolorato per Gheddafi”.

Addolorato per Gheddafi?

mercoledì 23 marzo 2011

Il più pulito c'ha la rogna

Gheddafi ha rimarcato che gli occidentali, non imparano mai le lezioni del passato, affermando: «L’attacco alla Libia è una nuova crociata contro l’Islam, ma sarete sconfitti, come già siete stati sconfitti in Iraq e in Somalia, come vi ha sconfitto Bin Laden» e come «siete stati sconfitti nel Vietnam». Egli si dimostra in tale occasione come il ladro che impugna la lama per scoraggiare ogni tentativo di reazione ma un tale invito a "pensarci bene prima di reagire" rende insicura ed incerta proprio l'onestà d'autodifesa di simili attacchi ed impoverisce quanti hanno in questi mesi lottato a mani nude e cuore aperto per una democratizzazione dell'Africa settentrionale.
Alla luce delle ultime notizie raccolte però tutto potrebbe risolversi su due alternative: stare dalla parte del popolo oppresso oppure dalla parte del pacifismo ad oltranza?? Mi rendo conto che sono due posizioni frustranti in quanto non si tratta di posizioni antitetiche. Razionalmente vorremmo tutti stare dalla parte del pacifismo ma istintivamente vorremmo stare dalla parte dei popoli oppressi. Sposare entrambe queste scelte però è possibile? Il mio timore è proprio che adesso pacifismo e interventismo non siano nemmeno più contrari ma purtroppo facce della stessa condizione di fallimento della politica estera degli ultimi decenni e dell'informazione.
Io mi auguro di tutto cuore che questo marasma trovi la soluzione che merita ma purtroppo per noi non è una soluzione semplice ed in ogni caso non può esservi una soluzione corretta in senso assoluto. Perchè se volessimo essegere garantisti fino alla fine, allora dovremmo fare i conti anche col fatto che Gheddafi, sebbene dittatore, è prima di tutto uomo e come tale titolare di diritti inviolabili, quegli stessi diritti di cui priva il suo popolo. In quanto "civilizzatori" in questi giorni, i continui attacchi aerei su quella zona di mondo, stanno dimostrando che tale dimensione di "civiltà" si è ormai persa da anni. Alcuni interessi sembrano più importanti di altri, purtroppo.
Ci sono sempre quelli che hanno le loro certezze: Pace o Guerra senza se e senza ma.
Però la seconda guerra di Libia si porta dietro qualche novità. In Italia, a Sinistra molti sono a favore dell’intervento contro Gheddafi, giustificandolo sulla base della sanguinaria repressione di una rivolta che era nata come pacifica.
Viceversa, molti degli interventisti di Destra, che ai tempi di Saddam irridevano alle “anime belle”, adesso sono diventati a loro volta pacifisti. Si scorge insomma molta confusione sotto il cielo. Forse però questo sparigliamento delle opinioni pubbliche non è poi un così cattivo segnale. Potrebbe essere il sintomo di una de-targettizzazione delle coscienze.
E dio solo sa quanto ci sarebbe bisogno di far circolare aria nuova nei cervelli.