sabato 14 gennaio 2012

Memorie a vanvera di primi passi.

Oggi stavo pensando ai primi incontri, quelli casuali, quelli che ti rimangono in mente per una settimana o due e che sporadicamente ritornano alla memoria in giornate come oggi, un sabato freddo e solitario, in cui la pelle di una siciliana emigrata in trentino sente forte la nostalgia di un caldo sole di primavera. 
Parlo naturalmente di quegli incontri che ti lasciano tanto perchè si creano strane alchimie, si scoprono affinità elettive puramente coincidenti e che non rimane che commemorare o assaporare.
E da qui la differenza tra due generi di persone: quelle che prendono la palla al balzo e finiscono per ottenere un incontro "programmato" e quelle che invece, sopiti dalla magia del momento, perdono ogni sorta di iniziativa e finiscono per conservare quel momento in una scatola dei ricordi da aprire ogni tanto, all'occorrenza.
La prima categoria di persone, poi, si divide ulteriormente in più specie. Una di queste, nell'attesa dell'incontro, è tutta piena di "oddio cadrò per terra inciampando/sbaglierò a parlare/avrò sicuramente qualcosa di ridicolo in faccia-tra i denti", tre delle fobie principali, e nell'attesa del dopo "gli sarò piaciuta o non si farà più sentire?", ci si consola sempre pensando che ormai ci si conosce troppo bene per rimanere vicendevolmente delusi.
In certe situazioni mi dimentico sempre che verosimilmente non dovrei essere l'unica a voler fare una buona impressione, e che dall'altra parte c'è una persona che ha le mie stesse insicurezze o almeno finge di averle per solidarietà.

Ultimamente per grazia ricevuta mi concentro molto più sui difetti degli altri che sui miei. Mi rilassa vedere con quale scioltezza la gente fa finta di non avere un terzo occhio sulla fronte.
Mi domando per quale motivo ho passato vent'anni (più cinque) a cercare di voler sembrare impeccabile agli occhi altrui, sentendomi infinitamente inferiore e non attraente, intellettualmente parlando e non solo. Anche con perfetti idioti e perfetti cessi a pedali, a volte.

Delle persone che scelgo di conoscere mi piace il fatto che siano a contatto con tanta gente ma che non abbiamo la sindrome da PR, che abbiano vari interessi e una vita piena di cose da fare, dire e provare ma non per questo si sentano i detentori di una missione quasi pastorale verso la saggezza cosmica. 
Mi piace che quando parliamo mi guardino e non riflettano troppo su cosa dire. Perchè spesso non me ne frega niente di sapere a che ora ti sei alzato la mattina per leggere il giornale del tipico intellettuale di sinistra, o che ascolti musica jazz perchè "è una musica di sostanza, adatta a pochi" ma poi non sai neanche chi era Laura Vaughn o Pee Wee Russell. Mi basta sapere che la giornata che ti accingi a trascorrere o che hai già vissuto, bella o brutta che sia o sia stata, ti abbia regalato qualche pensiero. Non per forza IL pensiero.
Detesto che mi si metta fretta quando si parla, o si è seduti davanti a un caffé.
Le persone che hanno fretta non hanno il tempo di pensarmi quando io non ci sono.

giovedì 12 gennaio 2012

La Sicilia, quella vera, siamo noi!

Rimanere sveglia fino a questa ora, spesso, non mi fa bene. Rimango a rimuginare sulle ultime cose che ho letto o che ho visto e quasi sempre finisco per non dormire. Scriverle. però, sembra che le esorcizzi.
Ho appena finito di seguire un documentario su Libero Grassi, imprenditore palermitano ammazzato dalla mafia perchè aveva denunciato il sistema del pizzo e si era rifiutato di parteciparvi. "Un popolo che paga il pizzo - diceva - è un popolo senza dignità." Già, senza dignità. Perchè un popolo che rimane legato a questi mezzi di ricatto, non è solo vittima ma anche complice, in quanto popolo che investe nella mafia, che fa affari con essa sovvenzionandone ogni attività. E' un popolo che ha paura di essere libero.
E Grassi, libero nella vita così come nel nome, lo aveva capito bene e coraggiosamente avesse scommesso su se stesso e sul popolo siciliano tutto e palermitano in particolare. Aveva scommesso ma perse. Si ritrovò solo come un Don Chisciotte sopraffatto dai venti.
La sua più grande aspettativa era quella di un popolo che fosse maggioranza attiva, che lottasse per una dignità vera e non camuffata dalle angherie della malavita organizzata. Un popolo che fosse capace di riconoscere gli errori e le mistificazioni là dove si manifestavano, condannando rappresentanti istituzionali e della giustizia laddove si facessero portatori degli interessi dei pochi e non dei molti. Ciò però non realizzò.
Mi fa una rabbia così grande sapere che la terra che amo di più al mondo sia così carica di immondizia morale. Mi fa una rabbia così grande sapere che i figli che per quella terra più hanno sacrificato, sono quelli che meno hanno ricevuto. Mi fa rabbia, perchè quando ascolto dell'omertà posso sempre pensare che tutto può cambiare, che basta organizzarsi per trovare una strada verso la libertà dalle catene che cosa nostra ha vigliaccamente costruito.
Poi torno a casa e in tanti piccoli gesti, in tante piccole mancanze, in tanti piccoli "compromessi" mi rendo conto che tanti sforzi rimangono vani, che forse esiste una maledizione che non può essere spezzata.
Forse secoli orsono una divinità malvagia, sentitasi violentata per la bellezza di una terra circondata dal mare, scatenò una tremenda fattura condannando la sua gente ad una continua e reciproca viltà.
E quindi, sebbene oggi nascano associazioni, fondazioni, nascano comitati che manifestano ed operano perchè le cose funzionino, perchè si possa "vedere, ascoltare, sapere" e conseguentemente denunciare, la maledizione permane. Permane però ormai diagnosticata.
Sembra infatti accendersi un barlume di speranza contro una storia che trasmette solo tragicità, speranza che può brillare finalmente nel buio della paura e della intolleranza, nelle tenebre dell'insicurezza che una società troppo omertosa ha prodotto.
In fondo sono tutti giovani, gli attivisti i cui volti si moltiplicano sempre di più, tutti carichi di un idealismo che a molti è mancato in passato catapultando i pochi al mattatoio silenzioso delle morti per strada. Tutti vivi.
Ma se invece fosse solo una indotta illusione? Se questa ondata di ricerca del riscatto fosse solo il modo con cui la stessa vita vuol dirci che, per quanto mai ci impegneremo a mostrare il volto, il finale non sarà mai un completo happy ending? Se esistessero tante, tantissime persone capaci di sbaragliare un sistema intero ma non fossero mai abbastanza per fare maggioranza?
No, non posso credere che sia solo una fiaba che ci raccontiamo ogni notte prima di prender sonno. E se anche fosse così, noi non siamo di certo la cicala. Siamo la formica. Siamo la formica che pian piano costruisce le sue provviste e quando sarà il momento di mettersi al riparo, avremo così tante riserve che l'inverno non potrà ucciderci.
Mi sento di dire che qualunque sia il viaggio che ci attende, la Sicilia, quella vera, siamo noi. Siamo noi i veri figli perchè solo noi amiamo davvero questa madre malata che ha tanto bisogno d'essere accudita. Siamo noi che la difendiamo e ci danniamo per proteggerla dai mistificatori, dai nemici di uno spirito unico e irripetibile, lo spirito dei siciliani onesti!

mercoledì 11 gennaio 2012

La spuma lasciamola in frigo!

Vi ricordate della retata antievasione compiuta a Cortina. Immagino di sì, perchè è stato uno degli argomenti su cui quei famosi Indignàti a sbafo non hanno perso occasione di ciarlare, e insieme a loro, naturalmente tutti quelli che Cortina la vedono al massimo come sfondo di un cinepanettone.
Quello che secondo me è importante sottolineare di tutta l'intera vicenda è in sintesi: la troppa scena dei censori. Fanno solo spumazza come diremmo in Sicilia. Intendendo come tale, tecnicamente nel dialetto siciliano l’eccesso di evidenza, la teatralità di un gesto fine a se stesso. Privo di una obiettività valida.
Fa spumazza, per intenderci, il portiere che si butta e rotola dopo aver intercettato un tiro scamuffo.
E, ancora, fa molta spumazza la polizia che adopera l’elicottero per sgominare un gruppo di lavavetri, come accaduto qualche anno fa a Palermo.
Vi racconto l'aneddoto. L’operazione è scattata a un incrocio della città dove diversi automobilisti avevano denunciato l’aggressività di qualche extracomunitario. Io da quell’incrocio ci passo abbastanza spesso quando sono a Palermo, e ho sempre riscontrato semplici proposte di servizio e sorrisi desolati a ogni rifiuto.
Ma si vede che di me hanno paura. Bah.
In ogni caso, paura o no, la polizia ha utilizzato quindici volanti e un elicottero per arrestare due lavavetri, noncuranti delle loro stesse lamentele per i fondi che sono loro riservati per la benzina.
Mi viene da dire che, come diceva sempre mio nonno, quando c’è da dare boffe allo scecco non c'è nulla che tenga.
Però, nel caso di Cortina, la spumazza trova una sua giustificazione nel momento storico che stiamo vivendo.
Lo sappiamo tutti che c'è la crisi. È una finestra temporale limitata, durante la quale forse è possibile invertire il senso del circolo, da vizioso a virtuoso. Lo Stato, che ora più che mai chiede sacrifici, deve convincere i suoi cittadini di voler finalmente fare sul serio. Deve convincere quella maggioranza silenziosa di persone che paga le tasse pur volendone pagare di meno, e che è sfiduciata, perché vede che la minoranza composta da quelli che non le pagano trova persino la sfrontatezza di lamentarsi.
Ecco, caro Stato: questa maggioranza silenziosa avrebbe moltissima voglia di credere in te.
Allora veniamoci incontro. La spumazza lasciamola in frigo!

domenica 8 gennaio 2012

Indignàti a sbafo!

Sarà che l'età che avanza rende tutto più pacato. Sarà che oggi è domenica e fuori fa un freddo cane per cui la mia modalità è "a riposo", ma non posso non notare come, sulle piazze reali e virtuali di discussione popolare, indignarsi sia diventato uno sport quasi olimpico. Tutti, chissà perchè, di fronte a certe notizie si trasformano in veri e propri supereroi della collera e del disgusto.
Sembra nata una nuova categoria: l’ICAS - Indignato comunque a sbafo.
Questi ha la caratteristica di bruciare la sua rabbia in fuochi di paglia rapidi e innoffensivi. A prescindere.
Gli appartenenti a tale categoria di supereroi dell'inutiloquio spesso si atteggiano a super intellettuali. Pubblicano su Facebook invettive degne di comparire in un comunicato delle Brigate Rosse, sentendosi autorizzati ad usare ogni tre righe espressioni come “La Casta” o “I Politici”, tanto generiche quanto spuntate, sebbene non sappiano esattamente la reale portata del fenomeno che si prestano a commentare.
Tant'è vero che quando poi viene fuori il caso umano (Don Verzé è morto, mischino! Cuffaro è dimagrito! Lele Mora ha ingoiato una confezione di Ansaplasto!) l’indignazione si squaglia e rimane solo il compatimento.
Comprensibile compatimento, per carità: ma l’ideale sarebbe evitarla questa indignazione generica così come la lacrimuccia in bilico per tutte le occasioni in cui qualche mascalzone dichiara “Tengo Famiglia”.
Perchè l'opinione sarà per definizione opinabile ma è tanto più valida quanto più coerente con se stessa.
Rischio nefasto è che entrambe le posizioni diventino come lo junk food: riempiendo senza nutrire.

sabato 7 gennaio 2012

In tempo di crisi, l'ingegno è tutto. Nuovo mestiere: scippatore per fame.

Appena tornata dalle vacanze natalizie trascorse in famiglia nella mia natia Palermo, sento l'esigenza di raccontarvi di un episodio che mi ha molto colpito. Uno di quelli che appartiene alla serie di notizie che di rado arrivano alle prime pagine dei giornali, se non mai, perchè parte di una cronaca allo stato gassoso, difficile da coagularsi per arrivare all’attenzione dei lettori. Eppure dovrebbe, almeno certe volte.
Ecco per esempio che mi è capitato di ascoltare, durante una conversazione a tempo perso, la storia di una signora. Una casalinga che era andata a fare la spesa: e all’uscita del supermercato è stata scippata del sacchetto che stava trasportando. 
La conversazione è avvenuta in una sala d’aspetto, e si fa ancora più interessante per l'intervento di un signore, anche lui vittima di uno scippo alimentare, che racconta un’altra storia molto simile, avvenuta all’altro capo della città.
Ho chiesto: ma non avete denunciato la cosa?
Loro: E che vuoi denunciare? Basta immaginare la scena al commissariato per capire che sarebbe ridicolo:
- “Mi hanno rubato mezzo chilo di spaghetti, e un litro di latte”.
- “Latte intero o parzialmente scremato?”
A Palermo, mia cara dolce fanciulla è impensabile sprecare fiato per simili quisquiglie. Non rimane che rifare la spesa.

Peccato, però, perché lo scippo del sacchetto della spesa rappresenta una novità. Un gradino in discesa nella scala della disperazione di questa disperatissima città.
Se non in cronaca nera, almeno nella pagina della cultura se ne dovrebbe parlare, come una mutazione dei costumi che i sociologi si accingono a studiare.
Senza voler calcare troppo sul pedale patetico, c’è da immaginare che a Palermo s’avanzi una nuova categoria: gli scippatori per fame. Quelli che col frutto del loro reato non vogliono pagarsi il telefonino nuovo, ma semplicemente calare la pignata. Gente che presumibilmente non sta facendo gavetta per approdare a un migliore (o peggiore) livello gerarchico di criminalità. Semplicemente uomini trasformati in predatori sulla base della fame che nutrono. È una regola basilare del mondo animale, in fondo.
Il gradino successivo da scendere è lo scippo del sacchetto della spazzatura: mentre stai depositando i tuoi rifiuti nell’apposito cassonetto, arriva un giovinastro che te li porta via.
Ma di questa nuova frontiera forse già si scorgono i pionieri, quelli che rovistano nella spazzatura in cerca di qualcosa da riciclare. Sono tutti sintomi che sfuggono ai rilevamenti statistici, che pure non sono mai generosi con Palermo e le altre città siciliane. Raccontano molto di come - accanto ai finti poveri, che sanno sempre molto bene come fare ascoltare la propria voce presso i palazzi del potere - esistono anche i poveri autentici, quelli che davvero hanno il problema della sussistenza.
Insomma, dati i malesseri che la recente manovra ha esacerbato e che ahimé non sembra capace di esaurire, pare essere di fronte ad un paese che, a quanto pare, dopo aver corso tanto ha finito il fiato ed è stramazzato a terra. 

L'era della privacy perduta

A distanza di pochi giorni dall'ultima nuova diavoleria progettata da Facebook, è già polemica. Sembra che la Timeline da poco arrivata a colorare di nuove forme i profili privati dei numerosi utenti del social network più famoso al mondo, sia una ennesima violazione della privacy tanto agognata dai nostri, ormai quasi preistorici, genitori. Non bastava il cookie spia di cui si era avuta notizia a settembre dell'anno appena passato 2011, adesso questo nuovo "diario" sconvolge le impostazioni degli utenti cibernetici rendendo le loro informazioni archiviate disponibili senza consenso. 
Emerge in modo chiaro un problema sempre più pressante.
Se, fino a poco tempo fa, la privacy veniva infatti percepita in un unico modo, e l'invasione della stessa richiedeva una più che valida giustificazione, oggi viviamo in una società nella quale esporsi è normale. Una società dove è la richiesta di protezione della privacy che va giustificata, paradossalmente.
Quasi tutti oramai ci esponiamo sul web, molto più di quanto potessimo mai immaginare solo dieci anni fa.
Su Facebook scriviamo se siamo sposati o no, su Twitter postiamo commenti di gossip, teniamo con costanza aggiornato il mondo del web sulla nostra situazione familiare, pubblichiamo foto che tutti possono vedere, senza preoccuparci se si potranno mai cancellare o no.
Forse non c'è niente di cui preoccuparsi. O forse invece siamo di fronte ad un fenomeno che viaggia verso il non senso e che sta stracciando ogni parvenza di controllo. 

Meno di un anno fa l'Amministratore Delegato di Google Eric Schmidt dichiarava: "Se c'è qualcosa che non volete mai far sapere, la primissima cosa da fare è non farlo sapere".
In altre parole, quello cui assistiamo è il totale rovesciamento del concetto di privacy. 

Ci sono comportamenti esibizionistici giunti ai limiti della ragione che raramente vengono considerati patologici, perchè il bisogno fondamentale di poter, ad un certo punto, chiudere quella benedetta porta di casa, lontani da occhi indiscreti, sta iniziando a sembrare un potenziale reato.
Quando ho iniziato da bambina ad approcciarmi alla rete, ricordo che una delle preoccupazioni più grandi fosse quella di trovarsi di fronte una identità completamente inventata. La rete web veniva vissuta come un mezzo per crearsi un "ruolo" del tutto nuovo, un alter ego parallelo alla realtà di tutti i giorni. E succedeva, quindi, che un ragazzino poteva far finta di essere un adulto e viceversa.
Da quei tempi l'uso del web è cambiato: la rete non serve più a travestirsi, ma è diventata sempre più simile allo Speakers’ Corner di  Hyde Park, con – però - miliardi di potenziali spettatori.
Succede pertanto che la ricerca su Google del nome della persona che dovete incontrare per lavoro (ormai una prassi, in vista di un incontro importante) potrebbe produrre tanto le foto del profilo Facebook di quella persona, magari in costume da bagno, durante una vacanza in Grecia con la famiglia, quanto i suoi post su Twitter, tutti contenenti allusioni alla notte di sesso con la moglie dopo la lite della sera prima, cosa che la moglie stessa ha messo in rete in tempo reale sullo stesso social network. Però, non ci troviamo niente di male, e mimetizziamo la palese violazione della privacy con parole dal significato nuovo, come "condividi", "amici" e "post", che non fanno che confermare il fatto che la sovraesposizione è nient'altro che l'antidoto ad un senso di solitudine che lo sviluppo tecnologico ha comportato.
Mi vien quindi quasi spontaneo immaginare cosa potranno mai pensare quei bambini che i genitori stessi mettono davanti al pubblico occhio, violandone il diritto alla riservatezza, esponendone i primi sorrisi, i primi passi, i primi pianti e infanzia seguitando. 

Non è che tra una ventina di anni quei bambini faranno causa a qualcuno per aver violato la loro privacy? O non avranno forse la sensazione di essersi persi qualche cosa?
Può essere anche che, per capire un post come questo, per esempio, quei bambini diventati adulti avranno bisogno di cercare nel vocabolario una parola dal significato oscuro: "privacy". E scorgerne il reale peso sarà impresa ardua. Così come del resto spiegarne la portata, quasi fosse una convenzionale categoria che racchiude misteriosi eventi, preludio ad uno sviluppo retorico e fenomenico come la buona vecchia "preistoria".

lunedì 5 dicembre 2011

QUALCUNO BATTA IL RIGORE, PERFAVORE!

(Da un articolo di Repubblica)
I tifosi di calcio conoscono bene il sentimento di quando la tua squadra sta vincendo e gli attaccanti cominciano a sbagliare gol a ripetizione. Gli avversari sono imbambolati, e quelli continuano a prendere pali e sciupare occasioni. Sulla carta stanno ancora vincendo, ma di fronte a tanti sprechi una specie di inquietudine si impadronisce del cuore di ogni tifoso. Esiste una regola non scritta che va sotto la definizione di “Gol sbagliato - gol subito”. Una specie di nemesi calcistica che quasi sempre colpisce gli sprechi rivoltando la frittata di un risultato che sembrava acquisito. Il tifoso sa che per qualche misterioso motivo questa regola trova rarissime eccezioni. Perciò trema.
Ecco. In questo stato d’animo si trova l’elettore palermitano di centrosinistra. Di qualsiasi centrosinistra compreso fra Italia dei Valori e la buonanima di Rifondazione Comunista: alla base le sfumature sono labili, si colgono solo nel chiuso delle segreterie di ciascun partito. L’elettore-tifoso vede la sua squadra in vantaggio ma pericolosamente propensa a sbagliare gol a porta vuota e a litigare per ogni passaggio sbagliato.
Arriva poi il momento in cui l’arbitro fischia un rigore a favore, e visto l’andazzo a quel punto ti viene una specie di ridarella isterico-scaramantica. Vorresti sembrare spiritoso, ma è una ridarella che confina col panico. Tu, tifoso del Centrosinistra, capisci che la vittoria è a portata di mano, ma anche che i ragazzi in campo stanno facendo ogni sforzo per incasinare tutto. Non sanno decidere chi deve tirare il rigore. L’allenatore sarà stato espulso, o si è addormentato sulla panchina: insomma, c’è poco da fare affidamento su di lui. E il caos prevale.
La lettura dei quotidiani locali in queste settimane è un calvario che somiglia al replay reiterato di ogni occasione perduta. Ti fanno rivedere al rallentatore gli attaccanti che litigano per chi deve tirare il rigore. C’è pure il fermo-immagine di ogni singola mandata affanculo, e tu capisci che anche quel rigore è destinato a finire alto sulla traversa, perché l’eccesso di litigiosità porta al disastro.
Cercare di tenersi aggiornati è una specie di condanna. Se si salta la lettura dei quotidiani per un giorno, poi non si capisce più niente. Dopo un breve viaggio, per dire, non sei più in grado di districare le ragioni e i torti di ciascuno, le appartenenze e i veti incrociati. Si legge e non si capisce. E il fatto di non capire non rappresenta un’attenuante al panico incipiente. Tu sai che al primo contropiede gli avversari sono capacissimi di farti il golletto che serve a pareggiare e poi vincere ai tempi supplementari.
Nell’animo del tifoso non conta più chi tirerà il rigore. Tu avresti la tua preferenza, ma a questo punto non importa: vorresti che tirasse chiunque, purché subito. E con l’appoggio morale di tutta la squadra. Facciano le primarie, o una conta più sbrigativa, tipo Ambarabàcicìcocò o PassaPaperino. Ma smettano di dare questo spettacolo indecente e menagramo. Smettano subito.
Quelli invece continuano a litigare, e nessuno ricorda più perché hanno cominciato. Se anche se lo ricordassero, ai tifosi non importa. Nemmeno vogliono sapere più chi è per le primarie e chi no, per quali differenti motivazioni. Sanno solo che vedono sfumare giorno dopo giorno il vantaggio, logorato da rivendicazioni di bottega o addirittura bassamente personali. Viene voglia di andare via dallo stadio o spegnere la tv per non dover più soffrire.
Di fronte al moltiplicarsi delle faide interne alla squadra del Centrosinistra il disamore dei tifosi rischia di prevalere. Se davvero fosse una partita di calcio basterebbe voltarsi dall’altra parte in funzione d’esorcismo, non guardare, e dall’urlo della folla capire se il rigore è finito in rete o no.
E qui si ferma l’allegoria. Perché in una competizione politica il rigore viene tirato da un singolo, ma sempre con il conforto dei compagni di squadra e dei tifosi. Se ci voltiamo tutti dall’altra parte, il rigore finisce alto di sicuro. C’è bisogno dell’entusiasmo di tutti e di ciascuno, per vincere ogni elezione: e questa in particolare. Panico e disamore fra i tifosi sono un lusso infondato e un rischio che non possiamo permetterci di correre.

La natura è violenza, caos, incesto.

Dacia Maraini: "Il Papa sostiene, con ostinato candore, che si deve difendere la famiglia naturale. Ma cosa intende per natura, viene da chiedere. Ogni normativa sociale, se guardiamo bene, va contro natura. Nel mondo naturale il più grosso mangia il più piccolo, il più robusto schiavizza il più debole, le madri si accoppiano con i figli, i padri con le figlie, i fratelli con le sorelle. In natura non esiste morale, se per morale intendiamo prescrizioni che gli uomini si scelgono per vivere nello stesso Paese, nella stessa città, nella stessa casa, senza scannarsi a vicenda. Proprio per difendere la famiglia artificiale creata dall' uomo, sono state stabilite discipline che impediscono il vivere selvaggio del nucleo originale: l'incesto per esempio, presente in tutte le specie, anche nell'uomo, addirittura ammesso in certe circostanze storiche – vedi gli antichi egiziani – è stato proibito, come racconta bene Malinowski, per permettere alle prime tribù di espandersi, andare a cercare altre tribù, intrecciare rapporti e quindi aprire scambi di idee, di conoscenze, di esperienze."

sabato 12 novembre 2011

Ai posteri l'ardua sentenza

Capisco che la fine di un ventennio carico di conflitti d'interesse, malaffare e malgoverno, metta il sorriso e lasci aperta la porta a nuove aspettative per il futuro, ma addirittura festeggiare come fosse morto il peggiore dei dittatori, scusate, mi pare fuori luogo oltre che completamente inopportuno. Quel che invece mi assale è un senso di completo svuotamento. Con le dimissioni di Berlusconi, sarà anche finita l'epoca delle leggi ad personam e dei mitologici lodi, tuttavia i problemi di questo paese non vengono affatto spazzati via. E di certo all'orizzonte, non c'è nessuna promessa di un chicchessia valido per superare un momento così tragico nel migliore dei modi. Quindi, perdonatemi, ma mi avvalgo della libertà di rimane scettica e dubbiosa. Fino a nuove elezioni, il parlamento "simil-democratico" (per usare un eufemismo) che rappresenta il popolo italiano è ben lungi dal corrispondergli quanto ad esigenze e necessità. Mi ripeto che forse, per prenderla positivamente, dovrei godere di più delle piccole cose. Che insieme al Cavaliere, andranno via ministri e sottoministri, e che ad esempio l'istruzione non sarà più nelle mani della Gelmini. 
Ciononostante, non riesco a non domandarmi come mai di fronte ad una tale vicenda, che rende gli animi, da un lato accesi, dall'altro vibranti di perplessità, una parte pressi per elezioni subito e l’altra per un governo di transizione, e soprattutto che per elezioni subito pressi lo schieramento dato dai sondaggi in caduta libera. E viceversa: per un governo tecnico si schieri invece quel Centrosinistra che, se si votasse oggi, vincerebbe di sicuro.
Non è solo una differente percezione del senso dello Stato, di fronte a un clima finanziario da caduta libera.
Il gioco è anche un altro. Si tratta di stabilire quale governo dovrà gestire le operazioni elettorali. Le operazioni di spoglio, in particolare.
Ricordiamoci quel che successe al Viminale la notte dell’ultima vittoria di Prodi, quando a un certo punto sembrò che i risultati dovessero essere clamorosamente ribaltati.
Ricordiamoci che da quattro anni a Palermo governa un sindaco che non è esagerato definire abusivo, alla luce di comprovati brogli e compravendite di voti.
Cosa aspettare e in cosa sperare allora? Ai posteri l'ardua sentenza...

martedì 8 novembre 2011

Le invisibili morti dell'alluvione

Questi giorni sono stati terribili per tutti quelli colpiti dall’alluvione.
Immagini strazianti di distruzione e morte sono circolate nel web e nella televisione. Tante persone hanno perso tutto, una vita intera di ricordi, i propri cari e anche i propri animali.
E proprio di questi ultimi vi vorrei parlare.
L’informazione che circola online o attraverso la scatola sonora è sempre la stessa, ma difficilmente si parla di animali, di quante vittime ci siano state e di come anche i rifugi-oasi siano stati colpiti dai disastri provocati dall’alluvione.
Gli animali, i nostri compagni di vita, anche nell’informazione sono messi in secondo piano.
Pochi parlano di quanti animali abbiano perso la vita annegati, schiacciati dalle macerie, accanto al loro padrone…
Ascoltando le notizie di questi giorni, il mio primo pensiero è stato: “Chi sa quanti animali saranno morti”…
Ho cercato di pensare a come potrei sentirmi io se qui dove viviamo fossimo colpiti dall’alluvione e Bennie, il mio coniglietto o Luna, la nostra cagnolina, restassero intrappolati o vittime dell’acqua.
Partendo dal fatto che non dovrei pensare alll’impensabile, ma se tutto ciò dovesse capitare, io sarei distrutta dal dolore, perchè ormai sono della famiglia, saremmo distrutti dal dolore.
Anche gli animali sono vittime di questa alluvione, di questo “sfogo” della natura, chi sa quanti hanno perso la vita o stanno lottando per sopravvivere.
Pensate ai canili, alle oasi e  ai rifugi colpiti nei dintorni di Genova, pensate a tutti gli animali annegati o rimasti intrappolati e morti in un modo orrendo…
Alle vittime invisibili di questa alluvione…
Ricordare per non dimenticare, gli animali sono coloro che regalano gioia, allegria, sorrisi incondizionati.
Un grazie a tutte le persone intervenute per aiutare gli animali non umani in difficoltà.