sabato 14 gennaio 2012

Memorie a vanvera di primi passi.

Oggi stavo pensando ai primi incontri, quelli casuali, quelli che ti rimangono in mente per una settimana o due e che sporadicamente ritornano alla memoria in giornate come oggi, un sabato freddo e solitario, in cui la pelle di una siciliana emigrata in trentino sente forte la nostalgia di un caldo sole di primavera. 
Parlo naturalmente di quegli incontri che ti lasciano tanto perchè si creano strane alchimie, si scoprono affinità elettive puramente coincidenti e che non rimane che commemorare o assaporare.
E da qui la differenza tra due generi di persone: quelle che prendono la palla al balzo e finiscono per ottenere un incontro "programmato" e quelle che invece, sopiti dalla magia del momento, perdono ogni sorta di iniziativa e finiscono per conservare quel momento in una scatola dei ricordi da aprire ogni tanto, all'occorrenza.
La prima categoria di persone, poi, si divide ulteriormente in più specie. Una di queste, nell'attesa dell'incontro, è tutta piena di "oddio cadrò per terra inciampando/sbaglierò a parlare/avrò sicuramente qualcosa di ridicolo in faccia-tra i denti", tre delle fobie principali, e nell'attesa del dopo "gli sarò piaciuta o non si farà più sentire?", ci si consola sempre pensando che ormai ci si conosce troppo bene per rimanere vicendevolmente delusi.
In certe situazioni mi dimentico sempre che verosimilmente non dovrei essere l'unica a voler fare una buona impressione, e che dall'altra parte c'è una persona che ha le mie stesse insicurezze o almeno finge di averle per solidarietà.

Ultimamente per grazia ricevuta mi concentro molto più sui difetti degli altri che sui miei. Mi rilassa vedere con quale scioltezza la gente fa finta di non avere un terzo occhio sulla fronte.
Mi domando per quale motivo ho passato vent'anni (più cinque) a cercare di voler sembrare impeccabile agli occhi altrui, sentendomi infinitamente inferiore e non attraente, intellettualmente parlando e non solo. Anche con perfetti idioti e perfetti cessi a pedali, a volte.

Delle persone che scelgo di conoscere mi piace il fatto che siano a contatto con tanta gente ma che non abbiamo la sindrome da PR, che abbiano vari interessi e una vita piena di cose da fare, dire e provare ma non per questo si sentano i detentori di una missione quasi pastorale verso la saggezza cosmica. 
Mi piace che quando parliamo mi guardino e non riflettano troppo su cosa dire. Perchè spesso non me ne frega niente di sapere a che ora ti sei alzato la mattina per leggere il giornale del tipico intellettuale di sinistra, o che ascolti musica jazz perchè "è una musica di sostanza, adatta a pochi" ma poi non sai neanche chi era Laura Vaughn o Pee Wee Russell. Mi basta sapere che la giornata che ti accingi a trascorrere o che hai già vissuto, bella o brutta che sia o sia stata, ti abbia regalato qualche pensiero. Non per forza IL pensiero.
Detesto che mi si metta fretta quando si parla, o si è seduti davanti a un caffé.
Le persone che hanno fretta non hanno il tempo di pensarmi quando io non ci sono.

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