mercoledì 5 febbraio 2014

Roger Waters per i diritti umani

da "Il Post" - "La lettera di Roger Waters a Scarlett Johansson e Neil Young"

Sabato 1 febbraio il fondatore dei Pink Floyd, Roger Waters, ha pubblicato su Facebook una lettera aperta a Neil Young e Scarlett Johansson, criticandoli per alcune recenti vicende relative ai loro rapporti con Israele; Young infatti ha da poco annunciato che suonerà per la seconda volta nella sua carriera in Israele, il 17 luglio a Tel Aviv, mentre Johansson è recentemente diventata testimonial di SodaStream, un’azienda israeliana che ha una grossa fabbrica nei territori della Cisgiordania occupati da Israele, decidendo di lasciare l’ong Oxfam dopo le critiche ricevute.
Nei giorni scorsi ho scritto privatamente a Neil Young (una volta) e a Scarlett Johanson [sic] (un paio di volte). Quelle lettere rimarranno private.
Purtroppo, non ho ricevuto risposta. E quindi, essendo un po’ disorientato, ho deciso di scrivere questa nota sulla mia pagina Facebook.
Neil? Penserò a lungo a questo fatto. Noi non ci conosciamo molto, ma tu sei sempre stato uno dei miei eroi. Sono confuso.
Scarlett? Oh, Scarlett. Ho conosciuto Scarlett qualche anno fa, credo alla reunion dei Cream al Madison Square Garden [era il 2005]. Ricordo che all’epoca era fieramente contraria ai neo conservatori, e disgustata da Blackwater (l’esercito privato di Dick Cheney in Iraq); potevi a ragione pensare che fosse una giovane donna forte e indipendente che credeva nella verità, nei diritti umani, nella legge e nell’amore. Confesso che mi presi una specie di cotta. Non c’è peggior scemo che un vecchio scemo.
Anni dopo, la scelta di Scarlett di stare con SodaStream anziché con Oxfam [Johansson ha da poco lasciato il suo ruolo di ambasciatrice dell'associazione per i diritti umani filo palestinese, che ricopriva dal 2005] è un atto intellettuale, politico e civile così notevole che è difficile da razionalizzare, per le persone cui stanno a cuore gli oppressi, quelli che vivono un’occupazione esterna e che sono trattati da cittadini di serie B.
Vorrei fare alla Scarlett di qualche anno fa una domanda o due. Scarlett, giusto per fare un esempio, sei consapevole che il governo israeliano ha raso al suolo 63 volte un villaggio beduino nel deserto del Negev, nel sud di Israele, l’ultima volta il 26 dicembre 2013? Quel villaggio è abitato da beduini, che – senza dubbio – sono cittadini israeliani protetti da tutti i diritti che vengono dalla loro cittadinanza. Beh, in realtà non proprio tutti: nell’Israele “democratico” ci sono cinquanta leggi che discriminano i cittadini non ebrei.
Non voglio fare una lista di tutte queste leggi (le trovi nei registri del parlamento israeliano), né elencare i gravi abusi dei diritti umani compiuti da Israele sia in politica interna sia in politica estera. Non mi basterebbe lo spazio. Ma torniamo alla mia amica Scarlett Johanson.
Scarlett, ho letto le tue giustificazioni: dici che i lavoratori palestinesi di SodaStream della fabbrica in Cisgiordania hanno la stessa paga di quelli israeliani, oltre alle stesse opportunità e gli “stessi diritti”. Davvero? Gli stessi diritti?
Hanno per caso il diritto di votare?
Hanno libero accesso a ogni strada?
Possono andare al lavoro senza aspettare ore per superare i controlli delle forze militari dell’occupazione?
Dispongono di acqua potabile?
Hanno a disposizione dei servizi igienici?
Hanno la cittadinanza?
Hanno il diritto di non assistere al rapimento dei propri figli nel cuore della notte – problema piuttosto comune?
Hanno il diritto di appellarsi contro imprigionamenti arbitrari e senza un preciso termine?
Hanno il diritto di ri-occupare le proprietà e le case che possedevano prima del 1948?
Hanno il diritto di vivere una normale e onesta vita famigliare?
Possiedono il diritto all’auto-determinazione?
Hanno la possibilità di continuare a sviluppare una vita culturale dalle radici antiche e profonde?
Se non sei sicura di come rispondere a queste domande, te lo suggerisco io. La risposta a tutte queste domande è NO.
I lavoratori di SodaStream non possiedono nessuno di questi diritti.
Di conseguenza, queli sono gli “stessi diritti” di cui parlavi?
Scarlett, sei innegabilmente carina, ma se pensi che SodaStream stia costruendo dei ponti per la pace, stai innegabilmente prestando poca attenzione.
Con affetto
R.

lunedì 27 gennaio 2014

...come Senofonte

Non voglio peccare di insensibilità in questo giorno che in molti oggi commemorano e non me ne vogliano coloro che in modo diretto o indiretto hanno conosciuto la tragicità che oggi si ricorda e l'eredità che essa ci ha lasciati, ma proprio perchè bisogna darsi un'occasione per riflettere, non penso di banalizzare alcun dolore se aggiungo una mia personale osservazione.
Oggi si rammenta l'olocausto più 'famoso' della storia, ma nel pieno della nostra vita edonistica, ostentata e tecnologica, ci pensate mai alle scatole nere che rappresentano i laboratori di ricerca biomedica, gli allevamenti e i macelli? Ci pensate mai agli esseri viventi che in essi vengono torturati, annichiliti e sterminati con atti di violenza da cui qualunque essere senziente dovrebbe essere protetto?
Come i bravi cittadini tedeschi di allora, abbiamo le idee chiare su cosa accade in queste Auschwitz e Buchenwald di oggi ma non vogliamo saperne nulla.
E mi permetto di ripetere ancora una volta che non voglio banalizzare il dolore di nessuno, quello di ebrei, disabili, omosessuali, zingari e dissidenti, così come quello di coloro che ancora oggi vengono annientati in molte parti del mondo. Una tra tante la vicina Siria, per fare un esempio.
Oggi tuttavia sappiamo per certo, per quanto istintivamente lo abbiamo sempre saputo, che gli animali possono soffrire esattamente come gli esseri umani, che le loro emozioni e la loro sensibilità sono spesso più forti di quelle umane, che capiscono, riflettono, memorizzano, eleborano schemi di azioni. Insomma non sono solo impulso e mero istinto come molti vorrebbero far credere. Da immemore tempo diversi filosofi e capi religiosi hanno cercato di convincere i loro discepoli e seguaci che gli animali non sono altro che macchine senz'anima, senza sentimenti eppure chiunque abbia vissuto con un animale - sia esso un cane, un uccello o persino un topo - sa che questa teoria è una sfacciata menzogna, inventata solo per giustificare quanto di eticamente ed esteticamente osceno rappresenti prendere un animale senziente, colpirlo alla testa, ucciderlo col gas, sottoporlo a elettroshock, tagliarlo a pezzi o ricavarne da esso borse e pellicce.
Se uno stesso Talmud ebraico recita che chi salva una vita salva il mondo intero, io direi che il bisogno di condotte virtuose è ormai divenuto più che urgente. E a chi penserà che non c'è ragione, non c'è linguaggio in chi al posto delle mani ha un paio di zampe, o due branchie, un paio d'ali o infine ancora due speroncini, rispondo che la questione fondamentale, alla fine del giro di giostra, non è se possono parlare, comprendere o ragionare, ma semplicemente se possono soffrire.

Isaac Bashevis Singer, ebreo sopravvissuto ai campi di concentramento nazisti, ha scritto:
"Ciò che i Nazisti hanno fatto agli Ebrei, gli umani lo stanno facendo agli animali. Tra uccidere animali e creare camere a gas come Hitler o campi di concentramento come Stalin, il passo è assai breve. [...] Non vi sarà giustizia fin quando l'uomo reggerà un coltello o una pistola e li userà per distruggere coloro che sono più deboli di lui."

lunedì 13 gennaio 2014

"The Butler. Un maggiordomo alla casa bianca" - tanto buonismo?

Terzapagina. "The Butler. Un maggiordomo alla Casa Bianca". La recensione


Un cast stellare carico di volti noti e una storia interessante non sono abbastanza per fare un film straordinario. Uscendo dalla sala dopo aver assistito a "The Butler" la sensazione immediata è esattamente questa, perchè per quanto gradevole possa essere la pellicola e arricchita da una serie di interpreti importanti come Forest Whitaker, Oprah Winfrey o Cuba Gooding Jr., alla fine appare un’operazione americana riuscita solo a metà. Avendo come obiettivo quello di realizzare una meglio gioventù tutta in nero, il risultato poteva essere senza dubbio migliore, magari raccontando entrambi i punti di vista, anzichè limitarsi a narrare attraverso gli occhi della sola comunità afroamericana finendo così per peccare di eccessivo buonismo e, cosa tutt'altro che sorprendente, d'esaltazione per il messagio obamiano e del sogno americano.
A partire dal 1927 fino al 2008, i fatti raccontati si snodano dalla schiavitù, passando per l'arrivo della libertà con tutta la violenza che ne consegue, ma del variegato mondo del movimento per i diritti civili, degli scontri fra non violenti e pantere nere, della componente marxista, della dura scelta di King nello schierarsi contro il Vietnam, dei dissidi fra chi voleva solo un posto nella società e chi invece voleva costruire una società diversa, in questo romanzo popolare da fiction televisiva resta ben poco. Il film infatti finisce per appiattirsi in un aspetto tutto privato del conflitto, condannando la sovversione e rimarcando, attraverso il rapporto fra un padre orgoglioso e un figlio ribelle, che negli Stati Uniti, alla fine, il bene prima o poi trionfa sempre, tanto da diventare detentori di un sistema esportabile perfino nel lontano Sud Africa.
Attraverso il percorso di Cecil, maggiordomo alla casa bianca per ben sette amministrazioni, le cui figure presidenziali sono solo abbozzate e spesso ritratte in aspetti addirittura caricaturali come per Johnson che detta la propria politica seduto su un water, non s’intravede un’accusa forte all’America e alle sue contraddizioni. Appare lampante che il regista non abbia voluto infierire, riproducendo senza dubbio un quadro apprezzabile, ma sminuito ad una presa di coscienza tutta personale senza una critica severa, e seria, al paese e alle sue guide politiche.
Insomma, a mio avviso, nonostante la gradevolezza, nonostante la bravura, lo spessore e il fascino dei co-protagonisti Whitaker e Winfrey, l'emozione che ne viene fuori risulta piuttosto azzerata nella contraddizione di un paese spesso democratico solo nelle intenzioni. Mi sento di dire che sicuramente in buona sostanza risulti un buon film, al quale probabilmente varranno nomination e premi, ma allo stesso tempo un film senza coraggio. E spesso è il coraggio a fare la differenza.

giovedì 31 ottobre 2013

C'era una volta un pupo di zucchero!

Se sei di Palermo e sei stato bambino, anche tu almeno una volta hai trovato riposto in un angolo di qualche mobile o sulla credenza della stanza da pranzo, al centro del tradizionale "cannistru" e avviluppato intorno ai piedi di tutto punto, “u’ pupu ri zuccaru o a’ pupaccena” che con la sua presenza sovrastava silenzioso tutto il resto dei dolci che per l'occasione erano stati preparati.
Per chi non lo conoscesse, sto parlando di un baldanzoso pupo di zucchero che raffigura il classico paladino del folclore panormitano, figura eroica dei mitici paladini del teatro popolare e che nella Sicilia orientale è scomparso del tutto, rimanendo invece fiero manufatto dei dolcieri palermitani. 
Secondo la tradizionale, per la festa dei morti, erano proprio i cari defunti, siano essi nonni, zii, parenti prossimi o lontani, a portare doni ai più piccoli di casa. Ricordo anche con quanto entusiasmo la mattina del 2 novembre mi svegliavo sapendo che la nonna che non avevo mai conosciuto durante la notte era passata a lasciarmi un regalo. 
Lo so, a molti potrà sembrare macabro. Penserete che sia una cosa stupida dire a dei bambini che nella notte i morti sarebbero passati a portare doni, tuttavia io non ho mai avuto nessuna paura, anzi vivevo quel giorno meglio del natale. 
L'idea che da lontano qualcuno vegliasse su di me, e avesse a cuore che quel giorno avessi un regalo anche io, mi illuminava. 
Questo periodo infatti evoca tanti ricordi, per me era una sorta di Epifania anticipata ma senza la befana con le scarpe tutte rotte, la casa si riempiva di dolci tipici come la frutta martorana, i biscotti totò e i taralli dolci al cioccolato con quella glassa così buona che se nei giorni successivi li mangiavi a colazione col latte caldo i denti si cariavano anche al pupo di zucchero che ti osservava dal mobile buono del salotto e rigorosamente sottovuoto. Già perchè questi pupi erano commestibili solo in teoria. In pratica essendo delle piccole sculture realizzate con zucchero cristallizzato la sola idea che un bambino li addentasse era se non da escludere, quantomeno da scoraggiare decisamente considerando poi i problemi che l'ingestione di tutto quello zucchero avrebbe potuto portare. 
Rimanevano quindi come una sorta di trofeo, in attesa che lasciassero il posto a quelli dell'anno successivo. 
A far da padroni nella pancia di adulti e bambini sono infatti da sempre, insieme alla pasta reale, i biscotti totò e i taralli, da sempre anche simbolo a mio avviso della personalità della gente di Sicilia.

La glassa esterna, che varia dalla provincia nella quale vengono realizzati, gli attribuisce l'aspetto della durezza, impressione tipica di chi conosce superficialmente un siciliano, mentre l'interno è morbido e tenero come la vera essenza della mia gente, generosa al punto di accoglierti nella propria casa, anche se ti conosce da cinque minuti, e capace di regalare un calore umano, che luoghi comuni a parte, spesso non riscontrabile in altre regioni del nostro paese.

lunedì 28 ottobre 2013

L'ora solare e il ritmo della malinconia

Ormai siamo tutti abituati all'idea che ogni anno, per ben due volte, le lancette dei nostri orologi subiranno un cambiamento. In autunno vengono spostate indietro facendoci guadagnare quell'ora di sonno che poi puntualmente perderemo in primavera quando le lancette verranno spostate in avanti.
Vi siete mai chiesti il perchè?
L’ora legale nasce in Inghilterra e poi si espande nei paesi europei poco dopo. In Italia per la prima volta viene applicata nel 1916, poi per anni saltuariamente abolita per poi divenire definitiva nel 1996. Lo scopo è quello di permettere nei periodi in cui la luce è maggiore, di sfruttarla al meglio avendo così un maggiore risparmio dell’energia elettrica, e per i più ottimisti anche un guadagno dal punto di vista del tempo libero avendo maggiore luminosità da dedicare alle nostre attività ricreative. Ovviamente nel caso in cui foste pimpanti abbastanza da sfruttarne gli effetti dopo una lunga giornata di studio o lavoro.
La mente che per prima ideò questa convenzione fu Benjamin Franklin nel 1784, già proprio l'inventore del parafulmine che sul quotidiano francese "Journal de Paris" pubblicò le sue riflessioni sul principio di risparmiare energia. Egli non ebbe successo e si dovette aspettare oltre un secolo perchè l'idea fosse ripresa dal britannico William Willet il quale trovò seguaci alla Camera dei Comuni di Londra che nel 1916 diede il via libera al British Summer Time, lo spostamento delle lancette un'ora in avanti durante l'estate. Non trascorse molto tempo perchè molti paesi imitassero la Gran Bretagna, avendo tutti a cuore in tempo di guerra il risparmio energetico come priorità.

Oggi, dopo il ritorno dell'ora solare, questo lunedì diventa il giorno improvvisamente più malinconico dell'anno, perchè di punto in bianco adesso arriverà la sera mentre noi, allietati dal tepore estivo che ancora ci accompagna, siamo intenti a fare programmi che sottintendono ancora un margine di luce.
Ma niente, bisogna rassegnarsi. Se è vero che l'autunno tarda ad arrivare, è anche vero che con esso non tardano gli impegni cui siamo tenuti a mantener fede e contenti o meno dobbiamo fare i conti col fatto che col passare degli anni, poi, questa ricorrenza ha assunto un valore allegorico.
E' come quando sei costretto ad accettare la schiavitù degli occhiali per leggere il tempo di cottura degli spaghetti. Stai invecchiando. E l'ora solare così come gli occhiali è lì per ricordartelo. Per ricordarti che per quanto titanica e disperata sia la tua ambizione nel pretendere di prolungare la luce, relegare il buio e rendere più efficiente il tuo tempo, il tempo non può essere domato.
Alla fine è sempre il tempo che doma noi. Che ci piaccia o no.

lunedì 21 ottobre 2013

Il posteggiatore abusivo: un "onesto" lavoratore!

Per chi non fosse di Palermo forse potrebbe risultare un fenomeno del tutto sconosciuto, ma da noi è una vera piaga. Ovunque tu vada, non esistono più zone franche, ogni angolo ha il suo "libero professionista" apposito e appostato. Quando ero bambina mi ricordo, le zone in cui si trovavano simili individui erano ben poche, e solitamente erano quelle con un maggior afflusso di traffico per cui paradossalmente svolgevano quasi un servizio alla comunità garantendo scorrevolezza e velocità nel parcheggio, quasi meglio dei vigili pagati dal comune. Chiedevano in cambio una piccola offerta, a discrezione del tuo "buon cuore". Oggi invece, il confine tra elemosina ed estorsione è decisamente superato a vantaggio della seconda, e ovviamente a svantaggio dei cittadini.
Se vi spostate più volte, come è capitato a me stamattina, ne incontrerete talmente tanti che a un certo punto inizierete a giocare a "indovina dove si nasconde il posteggiatore!". A 50 metri dal Tribunale, in via Nicolò Turrisi, se provate a parcheggiare l'auto e poi ad andare via senza pagare, verrete seguiti da tizi dai volti per nulla raccomandabili che continuano ad urlare "buongiorno!" con tono sempre più forte e minaccioso con l'unico scopo di spaventarvi talmente tanto da farvi pagare. Eppure da li passano costantemente polizia, carabinieri, vigili urbani, guardia di finanza, magistrati, pubblici ministeri e ...ci fosse un "cornuto" che dice qualcosa, tutti a fare finta di niente. Scommetto che nemmeno l'Onorevole Orlando, il nostro carissimo sindaco, ne ha mai visto uno.
Alcuni hanno addirittura la presunzione di affermare che sono utili perchè da lontano ti indicano che qualcuno sta liberando uno stallo e che quindi puoi parcheggiare a colpo sicuro. Beh, scusate, ma se questa è utilità allora perchè non ringraziare anche chi mi ruba il motorino e poi mi chiede solo duecento euro per restituirmelo?
Detto questo, quello che oggi mi ha sconvolto in uno dei miei spostamenti e che non dimenticherò mai è stata la risposta di uno di loro. Ero appena arrivata in via Pindemonte e avevo appena posteggiato. Sto tipo viene fuori da dietro una macchina più avanti e mi domanda due euro. E dico DUE!
Gli domando a che titolo mi stesse chiedendo quei soldi dato che avevo appena posteggiato in zona a pagamento e questo, tomo tomo, mi dice: «Io sono qua a titolo del Signoruzzo, e tu devi stare zitta perché sei femmina e basta».
Mi sono talmente innervosita per la minaccia poco velata che mi aveva appena rivolto sfumacchiandosi la sua sigaretta elettronica che ho dovuto contare fino a nonmiricordochenumero prima di dire qualcosa di azzardato. E alla fine, dopo aver contato, quello che avevo da dirgli gliel'ho detto lo stesso.
"E visto che sono femmina, come dice lei, se non le do i soldi che mi succede? Si livassi ri mmenzu ai piari ca c'iaju chiffari ...o aju a 'chiamari i carabinieri e biremu si sugnu fimmina e m'e stari zitta?"
Preso atto della mia presa di posizione, anche piuttosto sboccata, mi ha guardato con sguardo decisamente mafioso ma impotente e ha voltato le spalle, dirigendosi verso un'altra automobile che stava in quel momento posteggiando. Era giorno e se anche avesse voluto reagire avrebbe avuto decine di persone intorno.
Io, ovviamente, me ne sono andata con cuore pesante, temevo che al mio ritorno avrei trovato qualche sgradita "sorpresa", e invece per fortuna l'omuncolo se n'era già andato e a ricordo non aveva lasciato nessun souvenir sulla mia auto, per la quale forse avrà provato compassione, essendo così vecchia che sfregiarla forse non gli avrebbe dato alcuna soddisfazione.

Ora, mi domando e chiedo, è mai possibile che non si faccia nulla per debellare questo fenomeno? Capisco che sia ormai divenuta una figura "etno-antropologica" integrante da decenni, se non addirittura da più tempo, il panorama socio-economico occulto della città. Ma è pur sempre una vera e propria estorsione quella che viene a subire ogni giorno, e spesso anche più volte al giorno, il cittadino costretto a spostarsi coi mezzi privati.
Perchè dobbiamo continuamente ritrovarci di fronte fenomeni di connivenza e mai qualcosa che lasci sperare in una evoluzione culturale e, a questo punto, anche morale?

mercoledì 31 luglio 2013

Cambiamenti

Quando diciamo cose tipo "Le persone non cambiano", facciamo impazzire gli scienziati. Perché il cambiamento è letteralmente l'unica costante di tutta la scienza. L'energia, la materia, cambiano continuamente, si trasformano, si fondono, crescono, muoiono. È il fatto che le persone cerchino di non cambiare che è innaturale, il modo in cui ci aggrappiamo alle cose come erano invece di lasciarle essere ciò che sono, il modo in cui ci aggrappiamo ai vecchi ricordi invece di farcene dei nuovi, il modo in cui insistiamo nel credere, malgrado tutte le indicazioni scientifiche, che nella vita tutto sia per sempre. Il cambiamento è costante. Come viviamo il cambiamento, questo dipende da noi. Possiamo sentirlo come una morte o possiamo sentirlo come una seconda occasione di vita. Se apriamo le dita, se allentiamo la presa e lasciamo che ci trasporti, possiamo sentirlo come adrenalina pura, come se in ogni momento potessimo avere un'altra occasione di vita, come se in ogni momento potessimo nascere ancora una volta.
Ovviamente, come tutte le grandi prospettive della vita, è più facile a dirsi che a farsi. Perchè? Perchè quello che viviamo condiziona il nostro modo di agire tanto quanto la biologia. Se dal momento in cui nasciamo, sappiamo come respirare e mangiare; crescendo emergono nuovi istinti: difendiamo il territorio, impariamo a competere, cerchiamo una tana e, cosa più importante di tutte, cerchiamo un branco. Con un minimo di due membri. E la biologia è una gran rottura a volte, perchè vorrebbe farci credere che siamo quel che siamo in modo immutabile, secondo un codice inciso a fuoco nei nostri geni. Cazzate. La vita ci cambia. Sviluppiamo tratti nuovi, difendiamo meno il territorio, smettiamo di competere, impariamo dai nostri errori, affrontiamo le nostre più grandi paure. Nel bene o nel male troviamo il modo di diventare qualcosa di più della biologia. Il rischio, naturalmente, è che si possa cambiare troppo, al punto da non riconoscere più noi stessi. Ritrovare la strada può essere difficile, non c'è né bussola, né mappa. Possiamo solo chiudere gli occhi, fare un passo, e pregare Dio di riuscire ad arrivarci. 
Perchè spesso non importa quanto ci impegniamo, ci sono ferite che non si rimarginano mai del tutto. Potresti doverti abituare ad un modo di vivere completamente diverso, le cose potrebbero essere cambiate in un modo troppo radicale per poter tornare com'erano prima.
Insomma, crescere è decisamente doloroso e chiunque dica il contrario mente. Mente spudoratamente.
La vita comporta fare delle scelte, agire con motivazione, entusiasmo, passione, progettualità, volontà, determinazione e spirito di sacrificio per raggiungere i propri obiettivi.
Occorre solo trovare l'ambiente relazionale che ci fa stare bene e adattarsi al cambiamento con piena volontà. Imparare a contenere e gestire le paure, le tensioni e le angosce che possono limitare e bloccare il nostro comportamento. Ogni emozione, infatti, non ha di per sé un significato buono o cattivo: siamo noi che, condizionati dal nostro passato, le interpretiamo e le trasferiamo alle nostre aspettative del momento. Esistono delle vulnerabilità per ognuno di noi, automatismi difficili da smaltire.
Il cambiamento fa parte della nostra vita eppure se questo non avviene in maniera graduale ci spaventa e ci sottopone a dubbi e paure, perchè spesso non si è preparati a ciò che comporta: una riorganizzazione del proprio stile di vita da un punto di vista mentale, emotivo e relazionale.
Naturalmente ci sono i cambiamenti "positivi", quelli scelti dalla persona stessa e quindi fonte di atteggiamenti costruttivi e adattivi che danno forza e vigore; e quelli "negativi" quindi non scelti, ma imposti come i lutti, i cambiamenti nello stato di salute o la fine di una relazione importante e che comportano stati momentanei di SHOCK, con conseguente ritiro dalla realtà, agitazione e confusione, momentanea perdita d'identità e malessere.
In questi casi, la razionalità è messa a tacere a fronte di un'emotività forte e incontrollabile.
Cosa fare? Capire che a volte cambiare è una cosa buona, a volte cambiare è tutto perchè ci permette di accettare l'incertezza della vita, scoprire nuove potenzialità e renderci persone migliori.
Insomma, comporta l'allontanamento da uno stato di equilibrio e quindi per forza di cose un atto di coraggio.

sabato 23 marzo 2013

FORSE NON FACCIO TESTO

Non so perchè, ma da quando l'ho visto non riesco a pensare ad altro che a quanto sia diverso questo Papa. Dissimulazione? Tattica diversiva? Strategia psicorelicomitologica? Boh. Sta di fatto che a parte pochi rari nemici della contentezza, questo nuovo Papa sembra proprio piacere alla gente. Magari è il sollievo di scoprire che viaggia in autobus (!) e paga l’albergo come tutti (!!). Oppure è il paragone con la rigidezza teutonica del predecessore. Ma insomma: piace.

Certo, finora i giudizi si basano solo sull’anamnesi della sua vita, le premonizioni dei vaticanisti e i pochi segnali che ha cominciato a dare. E ovviamente non bisogna pretendere che risponda a tutti i nostri criteri di giudizio: è il papa dei cattolici, faccia il papa dei cattolici. Ok, non è femminista. Ok, su famiglie e anticoncezionali non lascia intravedere nessuna apertura. Ok, forse (ma forse) a un certo punto è stato vicino alla dittatura militare argentina.
Ma che deve fare un povero papa?
Lui si rivolge a un segmento di mercato che è formato dai cattolici credenti. I battezzati che credono nel magistero della Chiesa. Sì o no? Se ci credi, devi accettare quel che decide il papa, anche se non ti piace: e stop. 
Vero, anzi verissimo è che le fisime del Vaticano influenzano profondamente anche chi cattolico non è, specialmente in Italia, perchè intervengono in operazioni legislative che toccherebbero ad un parlamento che la costituzione vuole laico e quindi non sottomesso a credenze religiose particolari. 
Ma è anche vero che non si può pretendere che la Chiesa cattolica cambi sulla base dei nostri desideri.
Personalmente posso fregarmene, questo sì. Fare la mia vita a prescindere da quelli che vorrebbero prescrivermi un comportamento piuttosto che un altro.
Ma acclarata questa felice strafottenza, concedetemi di trovare papa Francesco simpatico, a pelle.
Trovo che assomigli a Stan Laurel e inoltre quel suo accento spagnolo promette divertimento. 
Chissà che all'eucaristia non si distribuisca sangria d'ora in avanti. 

venerdì 15 marzo 2013

"Un amore pronto a sudare" (da 'Lettere d'amore nel frigo' di L.Ligabue)

Un amore che comincia d’estate
è un amore in salute
è orizzontale
seminudo
si abbina all’allegria di canzoni furbe
mentre qualcun altro
porta il cane
a pisciare
sul lungomare degli astronomi
tutto quel sudore
lo fa scivoloso
ma quando cade
sa ridere di sé
si toglie gli anni
tiene aperte tutte le finestre
informa il mondo
se il sole avesse
solo un po’ di humour
gli riserverebbe l’occhiolino
del nonno al nipote sveglio
un amore che comincia d’estate
non ha paura
del cancro alla pelle
non ha paura
fa comodo anche agli altri
che possono così
chiamarlo stupido
fatuo passeggero virale
di basso profilo
di cattivo gusto
possono tenere gli specchi
dentro le federe marroni
quelli che si fingono
più a favore
lasciano che si sappia
il loro compatire
mentre dicono
una vita ce l’abbiamo tutti
non è che gli abissi cambino
nemmeno l’idea di fortuna
né del suo contrario
fa solo prima a spogliarsi
toglie un po’ di lavoro a san lorenzo
prende cura di sé
lasciandosi andare
alla barba che non si fa
al trucco che non si mette
un amore che comincia d’estate
si è perso la primavera
ma non lo si vedrà mai
pensare
all’autunno
imminente

martedì 5 marzo 2013

Lascia che la vita ti spettini!


Bardottini, vi è mai capitato di svegliarmi la mattina e non sapere come mettere in ordine i capelli che vi ritrovate in testa? Cercare di dare forma a quel cespuglio che invece durante la notte ha deciso all'unanimità di vivere una vita tutta propria infischiandosene dei vostri impegni e dei vostri bisogni? E che quando decide che deve stare ritto neanche la piastra di Moira Orfei può domarlo!
Già, lo sapevo. Siamo tutti stati vittime almeno una volta nella vita di phon e spazzola. Eppure si dice che dai capelli possiamo capire molto di una persona. Lunghi, corti, ricci, lisci, con le meches, lo shatush, rossi, verdi, azzurri, fucsia, fluenti, radi, a bonbon stile Marie Antoinette, con la coda di cavallo, lo chignon, a spazzola, oppure nulla, con tutto il cuoio capelluto che splende nelle giornate di sole. Ogni capoccia ha la sua innata personalità. C'è chi li arrotola se è nervoso, chi li mastica mentre parla durante un esame o un appuntamento e chi non è mai contento della piega che prendono. Ci sono quelli che vorrebbero nascondere il loro biondo sfolgorante quando camminano in mezzo ad un mare di neri e altri che invece i loro capelli non sono mai abbastanza corti o abbastanza lunghi per fare la differenza, altri ancora che non vogliono arrendersi all'idea che se anche non mangiano castagne la caduta dei capelli è inesorabile e neanche il parrucchiere più bravo del mondo riuscirà a farli sentire meno adeguati. Le cose non cambieranno, la tua donna ti lascerà comunque preferendoti una parrucca, perderai il lavoro e la tua identità. Ed un giorno, quando avrai fatto pace con te stesso, forse, ti guarderai allo specchio e ripeterai “Perché io valgo”. Senza essere nemmeno pagato per farlo.
Si dice anche che quando la vita cambia le donne cambiano taglio di capelli o colore. Vero o falso che sia, nel mio caso vi posso assicurare che i miei capelli sono talmente autogestiti che neanche la tinta è riuscita a indirizzare il loro flusso di cambiamento. Negli ultimi sei mesi avranno cambiato colore almeno tre volte in completa autonomia prima di decidermi di affidarmi alle mani di una "esperta". Anche lì però mi sa che fosse solo voglia di rivalsa. Avevano deciso di inviarmi un messaggio già da tempo e poichè le mie orecchie rimanevano sorde all'appello nonostante fossero molto vicine a loro geograficamente, hanno pensato bene che l'unica possibilità rimasta fosse proprio cambiar pelle e magari darsi una bella abbronzata!



E' per questo che ho deciso di ascoltarli di più, e considerato che oggi del pettine non volevano proprio saperne mi è sorta spontanea una riflessione che già da tempo attendeva di essere accolta. Perchè non vivere la vita con maggiore intensità lasciando che ci spettini?
Il mondo e' pazzo, decisamente pazzo. Se ci pensate bene, funziona tutto al contrario. Le cose buone, ingrassano. Le cose belle, costano. Innamorarsi, spezza il cuore. Cantare sotto la pioggia, fa venire la bronchite. Il sole che ti illumina il viso, fa venire le rughe. E come se non bastasse tutte le cose veramente belle di questa vita, spettinano...volete qualche esempio?
Fare l'amore, spettina. Ridere a crepapelle, spettina. Viaggiare, volare, correre, tuffarsi in mare, spettina. Togliersi i vestiti, spettina. Baciare la persona che ami, spettina. Giocare, spettina. Cantare fino a restare senza fiato, spettina. Ballare fino a farti venire il dubbio se sia stata una buona idea metterti i tacchi alti stanotte, ti lascia i capelli irriconoscibili.
Ecco perchè ho preso una decisione. Da oggi in poi, ogni volta che mi vedrete, avrè sempre i capelli spettinati...già perchè così come la montagna andò da Maometto, voglio che la felicità venga nella mia vita. E' una legge universale di cosmogonia applicata: sarà sempre più spettinata la donna che salirà sul primo vagoncino delle montagne russe di quella che sceglierà di non salire!
Tuttavia, può essere che talvolta io mi senta tentata di essere una donna impeccabile, pettinata ed elegante dentro e fuori, perchè questo mondo esige bella presenza:
pettinati,
mettiti,
togliti,
compra,
corri,
dimagrisci,
mangia bene,
cammina diritta,
sii seria...e forse dovrei seguire le istruzioni. Il problema è che se aspetto che mi ordinino di essere felice, rischio di ingrigirmi e ritrovarmi vecchia a quarant'anni. Forse non si rendono conto che per risplendere di bellezza, bisogna sentirsi belli. Bisogna guardarsi allo specchio e lì scorgere la persona più bella che potete essere, una persona meravigliosa. 
Perciò, eccovi la mia raccomandazione, che diventa anche un po' speranza.
Abbandonatevi, mangiate le cose più buone, baciate, abbracciate, ballate, innamoratevi, rilassatevi, rilassatevi, viaggiate, saltate, andate a dormire tardi, alzatevi presto, correte, volate, cantate, fatevi belle o belli, mettetevi comodi, ammirate il paesaggio, godetevela e soprattutto lasciate che la vita vi spettini! 
Perchè il peggio che può davvero succedervi, sorridendovi allo specchio, è che dobbiate pettinarvi di nuovo!