Un cast stellare carico di volti noti e una storia interessante non sono abbastanza per fare un film straordinario. Uscendo dalla sala dopo aver assistito a "The Butler" la sensazione immediata è esattamente questa, perchè per quanto gradevole possa essere la pellicola e arricchita da una serie
di interpreti importanti come Forest Whitaker, Oprah Winfrey o Cuba Gooding Jr., alla fine appare
un’operazione americana riuscita solo a metà. Avendo come obiettivo quello di realizzare una meglio gioventù tutta in nero, il risultato poteva essere senza dubbio migliore, magari raccontando entrambi i punti di vista, anzichè limitarsi a narrare attraverso gli occhi della sola comunità afroamericana finendo così per peccare di eccessivo buonismo e, cosa tutt'altro che sorprendente, d'esaltazione per il messagio obamiano e del sogno americano.
A partire dal 1927 fino al 2008, i fatti raccontati si snodano dalla schiavitù, passando per l'arrivo della libertà con tutta la violenza che ne consegue, ma del variegato mondo del movimento per i diritti civili, degli scontri fra non violenti e pantere nere, della componente marxista, della dura scelta di King nello schierarsi contro il Vietnam, dei dissidi fra chi voleva solo un posto nella società e chi invece voleva costruire una società diversa, in questo romanzo popolare da fiction televisiva resta ben poco. Il film infatti finisce per appiattirsi in un aspetto tutto privato del conflitto, condannando la sovversione e rimarcando, attraverso il rapporto fra un padre orgoglioso e un figlio ribelle, che negli Stati Uniti, alla fine, il bene prima o poi trionfa sempre, tanto da diventare detentori di un sistema esportabile perfino nel lontano Sud Africa.
A partire dal 1927 fino al 2008, i fatti raccontati si snodano dalla schiavitù, passando per l'arrivo della libertà con tutta la violenza che ne consegue, ma del variegato mondo del movimento per i diritti civili, degli scontri fra non violenti e pantere nere, della componente marxista, della dura scelta di King nello schierarsi contro il Vietnam, dei dissidi fra chi voleva solo un posto nella società e chi invece voleva costruire una società diversa, in questo romanzo popolare da fiction televisiva resta ben poco. Il film infatti finisce per appiattirsi in un aspetto tutto privato del conflitto, condannando la sovversione e rimarcando, attraverso il rapporto fra un padre orgoglioso e un figlio ribelle, che negli Stati Uniti, alla fine, il bene prima o poi trionfa sempre, tanto da diventare detentori di un sistema esportabile perfino nel lontano Sud Africa.
Attraverso il percorso di Cecil, maggiordomo alla casa bianca per ben sette amministrazioni, le cui figure presidenziali sono solo abbozzate e spesso ritratte in aspetti addirittura caricaturali come per Johnson che detta la propria politica seduto su un water, non s’intravede un’accusa forte all’America e
alle sue contraddizioni. Appare lampante che il regista non abbia voluto
infierire, riproducendo senza dubbio un quadro apprezzabile, ma sminuito ad una presa di coscienza tutta personale senza una critica severa, e seria, al paese e alle sue guide
politiche.
Insomma, a mio avviso, nonostante la gradevolezza, nonostante la bravura, lo spessore e il fascino dei co-protagonisti Whitaker e Winfrey, l'emozione che ne viene fuori risulta piuttosto azzerata nella contraddizione di un paese spesso democratico solo nelle intenzioni. Mi sento di dire che sicuramente in buona sostanza risulti un buon film, al quale probabilmente varranno nomination e premi, ma allo stesso tempo un film senza coraggio. E spesso è il coraggio a fare la differenza.
Insomma, a mio avviso, nonostante la gradevolezza, nonostante la bravura, lo spessore e il fascino dei co-protagonisti Whitaker e Winfrey, l'emozione che ne viene fuori risulta piuttosto azzerata nella contraddizione di un paese spesso democratico solo nelle intenzioni. Mi sento di dire che sicuramente in buona sostanza risulti un buon film, al quale probabilmente varranno nomination e premi, ma allo stesso tempo un film senza coraggio. E spesso è il coraggio a fare la differenza.
Non voglio dilungarmi sull'analisi puntuale di questo lavoro cinematografico, anche perchè concordo abbastanza con quanto ho già letto che si avvicina molto al mio pensiero. Poche righe per un plauso all'interpretazione di uno straordinario Forest Whitaker e per comunicare solo il messaggio più forte che mi ha lasciato la visione del film in questione. Incentro il mio pensiero sulla figura umana e professionale del protagonista rapportandola anche alla nostra attuale situazione sociale. "La dignità" che deriva dallo svolgere anche il più umile dei lavori è cosa assai nobile, in una società come la nostra dove la parola lavoro è ormai privilegio di pochi fortunati e comunque della minoranza degli uomini. Questo messaggio è ridondante dentro di me. Non esiste lavoro umile che sia umiliante per un uomo se gli consente di vivere onestamente anche se in modo modesto. La parola lavoro ha un gusto impareggiabile che ogni uomo dovrebbe assaporare e conoscere. Una società dove il lavoro è quasi utopia è una società ammalata. La dignità con la quale il protagonista del film svolge il proprio lavoro, mandando avanti la sua famiglia e garantendo ai suoi figli l'istruzione necessaria e una vita serena, è commovente. Soprattutto in anni difficili come in quelli nei quali si svolge la storia. Estrema dignità di un uomo che ha saputo dal nulla crearsi un'identità sociale propria di chi possiede un lavoro, il cui svolgimento è spesso minato dalla cattiveria ammorbante degli uomini. Tanto avevo da aggiungere.
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