E' ormai palese e lampante a tutti che la morte di un personaggio
famoso non si attende più ma al contrario si annuncia. Lo abbiamo visto
con Mike Bongiorno e Michael Jackson e purtroppo per noi la tendenza
continua a dilagare imperterrita poichè in molti ne stanno facendo il
loro mestiere primario.
Appena svegli alla mattina, le prime
notizie che leggono sul giornale carteceo o virtuale che sia, sono
quelle di cronaca nera, giusto per capire se possono essere i primi a
dare la notizia agli amici con cui ormai condividono tutto, forse anche
troppo. Molti infatti utilizzano il mezzo "sociale" per comunicare anche
quante volte hanno mangiato o bevuto durante il giorno. Così, per
sport, perchè - ti dicono - condividere è bello.
Sembra quasi che siano diventati i becchini di facebook.
Ovviamente
come in tutte le tendenze che prendono piede, c'è sempre quello che non
può essere "pecora" ma "pastore", per cui al comportamento
generalizzato di condividere la notizia, sostituiscono un comportamento
più empatico. O csì essi credono, perchè immaginano che non limitandosi a
dare la notizia, ma aggiungendo anche aneddoti o commenti personali o
racconti di vita, possano "fare la differenza" e distinguersi dalla
massa.
Ora quello che a me preme di più sottolineare è come tutti
credano che solo scrivendo quanto siano commossi possano davvero
comunicare come se quella perdita avesse bisogno di lotte intestine a
colpi di status per materializzare tutto il dolore comune. Quello che
non comprendono è che invece il risultato è un vero e proprio abuso di
sentimenti, in modo del tutto sconclusionato, ingiustificato e
soprattutto inopportuno.
In quei giorni frequentare facebook è una vera tortura perchè
il rischio più evidente è il collasso nervoso di chi, mero lettore, è
tartassato da frasi fatte, pagine inventate per l'occasione, video in
cui il personaggio è protagonista, insomma qualunque cosa possa
trascinare per settimane l'ondata emotiva. Insomma sembra quasi che nessuno sia più capace di addolorarsi senza sentire l'urgenza di condividere. Per
sentirsi parte del gioco "sociale" deve dimostrarsi il più addolorato
tra tutti o al contrario dimostrarsi completamente indifferente al gioco
delle parti.
Perchè è ovvio che se da un lato c'è chi non può
fare a meno di seguire il "fingere comune" in merito alla morte recente,
c'è anche chi invece non può fare a meno di prendere le distanze dall' utente addolorato o dall' utente di massa imponendosi come decisamente polemico e altezzoso.
Ricordo
che alla morte di Amy Whinehouse, un paio di mesi orsono, in molti ci
tenevano per forza a sottolineare che fosse stata solo una drogata, che
la sua musica fosse merda in confronto ai loro gruppi del cuore e che la
famiglia "dovesse prendersi le sue responsabilità del caso", come se
fosse per loro vitale prender parte alla condivisione globale ma al
tempo stesso non volessero essere scambiati per i soliti utenti perbenisti che a prescindere dal soggetto in causa dimostrano solidarietà.
Risulta
pertanto evidente la deriva che si sta attuando senza nessun limite, e
sono sicura che se analizzassimo più approfonditamente la questione si
potrebbe addirittura costruire una vera e propria tassonomia della becchineria collettiva.
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