lunedì 24 dicembre 2012

Lettera a Messer Babbo Natale


Caro Babbo Natale,
lo so, sono un po' grandicella per scriverti ancora letterine, ma sono anni ormai che non te ne inoltro una e dato che quest'anno è un anno che dimenticherei volentieri, mi sa che se ti scrivo esorcizzo gli eventi e chissà che qualche desiderio non venga anche esaudito.
Intanto, come stai caro Babbo? Hai portato il tutino rosso in lavanderia? Lo hanno inamidato per bene? Sai mi preoccupo, non vorrei mai che tirandoti giu per qualche camino, ti si stropicciasse troppo. Sei dimagrito? Fai movimento? Basta poco sai...basta solo che tre volte a settimana sia tu a trainare le renne. Ricordati che ormai hai un’età avanzata e il diabete, il colesterolo un po' troppo alto, l’altero sclerosi e la tachicardia sono sempre in agguato, per cui non ti trascurare. Solo perchè esisti ormai da millenni, non significa che tu sia immune a tutto. Ho imparato da quest'ultimo anno che nessuno rimane indenne. 
Prima di entrare nei dettagli di questa mia … faccio una premessa: io non ti ho mai messo fuori dal mio balcone…al freddo e al gelo…che tenti di arrampicarti con la corda….o con la scaletta…per un po’ di calore…con tutte quelle lucine che sembrano una base dove far atterrare un elicottero! Non ti ho mai neanche incollato sul paraurti dell'auto scorazzandoti per tutta la città…al massimo ti ho appeso dietro la porta di casa, sotto ad un pomposo "welcome", ma GIURO! mai accompagnato da suoni di campanelle da corso tibetano!
Caro Babbo Natale, vengo al dunque. Quest'anno io sono quella che non vede l’ora che il natale finisca al più presto (e ahimè non solo per far riposare te) …sia ben chiaro!
Premesso tutto ciò, come si conviene nelle migliori letterine natalizie, mi piacerebbe iniziare ad elencare le cose che vorrei da te. Non sono una difficile da accontentare, non lo sono mai stata, e sono anche abbastanza democratica…metaforicamente parlando, quindi lascio a te la scelta.
Tu che sei tanto buono…perchè, se ti rimane del tempo, non provi a far sparire in una sorta di tsunami tutti quelli che negli ultimi mesi mi hanno straziato il cuore. Oddio, lo so, adesso starai pensando: "Antonella, ma a natale dobbiamo tutti essere più buoni!". Si, d'accordo, sarà pure vero ma possibile mai che ad essere buoni si prendan solo in**late??? 
Se ti sembra, tuttavia che questo desiderio non sia facile da esaudire, ti posso dare una alternativa. Che ne pensi se per questo natale ti chiedessi in dono un bel sorriso??...non sai quanto ne avrei di bisogno. Attento però, non voglio un sorriso qualsiasi. Ne voglio uno che sia lì al mattino quando mi sveglio e che non scompaia una volta spazzato via il sonno dagli occhi, uno di quelli che mi accompagni per tutto il giorno e che sia soprattutto contagioso...già perchè lo sai bene ormai da qualche anno che se c'è una cosa che davvero mi riempie il cuore è far sorridere gli amici, vicini o lontani che siano.
Che hai un satellitare di ultimissima generazione lo sanno ormai anche i più piccoli, per cui sono sicura che prima o poi se ti metti a cercare, il tanto agognato sorriso presto o tardi lo trovi. Mi raccomando però a non correre troppo, c'è crisi e ormai gli autovelox iniziano a montarli pure sui tetti pur di far cassa. Lo saprai meglio di me che non vado ogni anno su e giù per il mondo, ma la prudenza non è mai troppa e considerato che hai pure un rimorchio, la multa poi si accoppia con gli interessi e ti partorisce in Lapponia tante altre piccole multicine che ti fanno la festa!
Ancora. Se per caso, tra un camino e l'altro, ti dovessi imbattere in qualche bel fustacchiotto dagli occhi bruni e dall'acuto ingegno, sappi che ho liberato un po' di spazio, nel cuore e nella testa, quindi se lo aggiungi agli altri doni, stai tranquillo che indietro non te lo mando affatto ;) meglio ancora se ci aggiungi un biglietto aereo di sola andata per un'isola caraibica e un buon libro da leggere durante il volo!
Come vedi la lista non è molto lunga, e in fondo non chiedo poi tanto, a dir il vero mi basterebbe anche solo una scorta annuale di mirra che dicono essere un ottimo antibiotico. Di raffreddori ne ho avuti fin troppi negli ultimi mesi...per cui faglielo sapere magari a Baldassarre.
Ora però ti devo lasciare, caro il mio Babbo Natale, per me è stata una giornata impegnativa e so che tu invece avrai una notte parecchio lunga. I regali non si consegnano certo da soli. 
Mi raccomando, fai buon viaggio e non dimenticarti di quanto ti ho chiesto. Se tuttavia non dovessi farcela a passare, ho solo un'ultima richiesta. Mi hanno detto che la felicità è dietro l'angolo. Non è che magari mi faresti sapere in quale isolato???
In fede,
Antonellina

mercoledì 19 dicembre 2012

Cià putemu fari!


Oramai il Natale si avvicina a grandi passi, ma quest'anno c'è un'altra scadenza che preoccupa in molti e che sembra, a detta dei Maya, arrivare ancora prima: esattamente il 21 dicembre 2012 e con esso la fine del mondo.
Come una pallina da golf che rotola verso la buca, la nostra vita, la nostra esistenza di genere umano, il nostro mondo sta andando incontro alla fine? Possibile mai che siamo già arrivati alla fatidica diciottesima buca e che nessuno (come invece accade nei migliori film apocalittici) ci tirerà fuori dalla buca, per iniziare poi a giocare da qualche altra parte?
Aspettavamo la fine del mondo nel 999 come narrato su “Storie dell’anno 1000″, la aspettavamo di nuovo nel 1999 e non è arrivata.

Non è che sti Maya ce stanno a pija’ per culo?

Questi antichi abitanti del attuale sud del Messico sostengono, nei loro scritti cosi come interpretati, che la fine del mondo arriverà, che loro lo sanno da un sacco di tempo, sebbene poi non manchino coloro che sostengono che per gli stessi Maya la fine, quella vera, è arrivata moooolto tempo prima.
Ma allora, siamo poi tanto sicuri che i calcoli li avessero fatti giusti?
Dicono anche (non i Maya che e’ un po’ che non scrivono cose nuove) che gli alieni un giorno ci conquisteranno con la loro flotta stellare.
Fino ad ora, gli alieni non si sono visti, e se pure si sono visti non sono stati molto convincenti. 
(Io comunque non ne ho visti…)
E se tutti voi foste il frutto della mia immaginazione e quella data fosse solo la fine del mio sogno? Si dicono un sacco di stronzate lo so, a sto punto le dico pure io.
Dicono che i numeri sono importanti e alcuni sono terribili (forse al liceo, magari un 4 puo’ essere brutto "segno" - Chi la sente la mamma??). Ricordo che qualche giorno fa il 12/12/2012 alle 12:12 doveva succedere qualcosa di incredibile o terribile. Oggi è il 19 e a parte un meteorite caduto a Brancaccio non vedo altri disastri naturali.
Il solo pensare che ci sia qualcuno che dice che il mondo finisca solo perchè un numero basato sulla nascita di un tizio (tra l’altro avvolto nel mistero e nella fantasia) è particolare rispetto ad un altro mi mette i brividi.
Io di MAYA da bambina conoscevo solo l'ape e non parlava affatto di cataclismi naturali. 
Tuttavia sono sicura di una cosa, che l’apocalisse può manifestarsi anche in altri modi. Perfino nelle statistiche dei bagagli smarriti. Pare infatti che nel 2006 le valigie che non arrivavano a destinazione - in Europa, ogni anno - fossero 36 milioni. Oggi sono raddoppiate. 
Gli aeroporti sono sempre più grandi, i dipendenti sempre di meno, e non riescono a gestire una mole di bagagli sempre più crescente. Un sacco di addetti che potrebbero occuparsi dello smistamento a monte, vengono invece adoperati a valle per monitorare lo stato dei singoli smarrimenti e recapitare le valigie fino al domicilio del passeggero. Anche senza quantificare i rimborsi, si tratta di uno spreco di risorse pazzesco da parte delle compagnie aeree. Non è una magnifica metafora della modernità? 
Siamo cresciuti troppo, non riusciamo a crescere più. Forse è questa la "vera" fine di cui quegli antichi indigeni parlavano. Siamo arrivati ad un livello di crescita così elevato che più di così c'è solo il collasso generale. E la nostra vita dopo essere molto migliorata, non può che peggiorare drasticamente. 
L’unica difesa dal cataclisma quindi, metaforicamente, diventa il bagaglio a mano. Ossia: limitarsi allo stretto necessario e portarselo dietro senza delegarlo a nessuno. Farsi bastare meno roba. 
Ecco quindi che in completa controtendenza, se avete in procinto viaggi da affrontare, mi raccomando ascoltate questo mio modesto consiglio e vedrete che la mattina del 22 dicembre, quando avremo sfangato la fatidica data, vi accorgerete desiderosi di unire le braccia in un delizioso gesto dell'ombrello!

domenica 16 dicembre 2012

Il principio del vuoto - Joseph Newton

 

Hai l'abitudine di accumulare oggetti inutili, credendo che un giorno, chissà quando, ne avrai bisogno? Hai l'abitudine di accumulare danaro, solo per non spenderlo, perchè pensi che nel futuro potrà mancarti? Hai l'abitudine di conservare vestiti, scarpe, mobili, utensili domestici ed altre cose della casa che già non usi da molto tempo? E dentro di te? Hai l'abitudine di conservare rimproveri, tristezze, risentimenti, paure ed altro? NON FARLO! 

È necessario che lasci uno spazio, un vuoto, affinchè cose nuove arrivino nella tua vita. E' necessario che ti disfi di tutte le cose inutili che sono in te e nella tua vita, affinchè la prosperità arrivi. 

LA FORZA DI QUESTO VUOTO È QUELLO CHE ASSORBIRÀ ED ATTRARRÀ TUTTO QUELLO CHE DESIDERI. 

Finchè stai materialmente o emozionalmente caricando sentimenti vecchi e inutili, non avrai spazio per nuove opportunità. I beni devono circolare. Pulisci i cassetti, gli armadi, la stanza, gli arnesi, il garage...da quello che non usi più. Nono sono gli oggetti conservati quelli che stagnano la tua vita bensì il significato dell'atteggiamento di conservare.

Quando si conserva, si considera la possibilità di mancanza, di carenza... si crede che domani potrà mancare, e che non avrai maniera di coprire quella necessità. Con quest'idea, stai inviando due messaggi al tuo cervello e alla tua vita:

#che NON TI FIDI DEL DOMANI 

#che PENSI CHE IL NUOVO E IL MIGLIORE NON SIANO PER TE

Per questo motivo ti rallegri conservando cose vecchie ed inutili. 

DISFATI DI QUELLO CHE HA PERSO GIÀ COLORE E LUCENTEZZA. Lascia entrare il nuovo in casa tua e dentro te stesso...

giovedì 13 dicembre 2012

Arancina o arancino? That's the question!

E' una delle querelle che più animano il popolo siciliano. Dai peloritani alla conca d'oro questo prelibato manicaretto isolano appassiona più del tifo calcistico e divide in due scuole di pensiero: quella occidentale che preferisce declinarla al femminile e quella orientale che invece preferisce attribuire alla pietanza il genere maschile. 

Affascinata da questo mistero culinario ho voluto sciogliere una volta e per tutte l'enigma. 

Qualcuno pensa che non valga nemmeno la pena affrontare il problema, mentre altri si infervorano a tal punto da litigare con amici e fidanzati fuorisede per stabilire quale sia la dicitura più corretta. 
La querelle trova spazio anche su Internet: nei forum e nei blog. Su un forum un palermitano interviene sostenendo che la corretta dicitura sia 'arancina' perché la gustosa vivanda sarebbe stata inventata nel capoluogo siciliano, dove appunto prende questo nome ("Qui a Palermo è femmina e visto che l'abbiamo inventata noi abbiamo il diritto di chiamarla come vogliamo"). Spostandoci su un altro forum troviamo una risposta di un "vero catanese" (così si definisce) che scrive "arancino (a Catania è 'masculo', a Palermo, dove credono di avere inventato anche il Padreterno, lo appellano al femminile)". Insomma, ci troviamo di fronte ad uno scontro sulla paternità del termine. È quella che ho battezzato "teoria del copyright": chi l'ha inventata ha il diritto di darle il nome che vuole. C'è da chiedersi però se si possa stabilire con certezza l'origine dell'appetitoso manicaretto e in ogni caso se in principio a Palermo si chiamasse proprio 'arancina'.

Sul forum dove interviene il "vero catanese" c'è un intervento che va oltre questa spiegazione e che riportiamo per intero: "Tendo a sottolineare che si chiamano arancine perché la forma tonda e dorata ricorda l'arancia, quindi si dice arancina e non arancino (almeno fino a quando non darete all'ottima preparazione la forma di un albero)". Tutto fila liscio, catanesi e messinesi non ce ne vogliano: forma e colore sono quelle del frutto dell'arancio che in italiano si chiama 'arancia', dunque il nome corretto è 'arancina'. Questa la seconda strada che possiamo percorrere. È la "teoria dell'origine", l'abbiamo voluta chiamare così perché deriva dall'etimo della parola.

Adesso è arrivato il momento di toccare con mano, o meglio, con i denti e andare al bar a chiedere - senza paura di sbagliare - una bella arancina. Ma, proprio quando crediamo di aver risolto l'arcano, il dizionario ci contraddice. Abbiamo consultato due dizionari di siciliano: il Mortillaro e il Traina, entrambi del diciannovesimo secolo. Tutti e due riportano il termine 'arancinu', nome che dunque i nostri antenati usavano per indicare quella palla di riso fritta tanto appetitosa. In italiano diverrebbe dunque 'arancino'.
In realtà però il nostro dialetto non fa distinzione tra il frutto e l'albero, indicando entrambi col termine 'aranciu'. 'Arancinu' sta quindi per "aranciu nicu", cioè "piccola arancia", ovvero 'arancina'.

È interessante notare, tuttavia, che in nessuno dei dizionari della lingua italiana consultati sia presente il termine 'arancina' ma solo il suo corrispettivo maschile. È soprattutto curioso constatare che nello Zingarelli il secondo significato di 'arancio' è il frutto agrumato. Di conseguenza alla voce 'arancino' troviamo anche "piccola arancia".

Insomma, tirando le somme potremmo dire che, al di là di quanto scrivano i dizionari, la traduzione più esatta sarebbe 'arancina' mentre in siciliano 'arancinu' è il termine migliore. Ciononostante non crocifiggiamo chi si ostina a nominarlo 'arancino', perché anche l'italiano, come abbiamo visto, fa confusione tra il frutto e l'albero. 

Sebbene adesso ne possiamo avere una visione speriamo più chiara, sembra comunque che il nodo gordiano sia impossibile da sciogliere e sia destinato a rimanere confinato eternamente in quel luogo insondabile dove risiedono i grandi misteri dell'umanità... e della lingua italiana.

Ecco perchè, ancora incerti sulla corretta pronuncia da utilizzare, ho pensato di fare due chiacchere coi rosticceri palermitani. Il risultato non sembra sciogliere il dubbio ma chiarisce almeno la conoscenza sulle origini di quella prelibata palla di riso. 


L'impresa di trovare una risposta convincente sembra diventare più ardua ad ogni chilometro percorso e quasi esulto quando ci imbattiamo in un'insegna pubblicitaria che porta scritto "Von Arancïnen". In tedesco? Questa ci mancava, meglio entrare e chiedere ulteriori spiegazioni, magari qualcuno ne sa più di noi.
Dopo i saluti rituali con un tanto maccheronico quanto saccente "Guten tag" scopriamo che di teutonico, dentro quel locale, c'è ben poco. Il cartello è solo una trovata commerciale che fa riferimento ai mondiali di calcio in Germania. "L'arancina rappresenta un pallone calciato in rete - spiega il signor Antonino del Bar Ciro's di via Notarbartolo - per quanto riguarda il termine scelto - continua - si tratta di un tedesco maccheronico che ricorda le Sturmtruppen di Bonvi". Antonino comunque non si esime dal rispondere al quesito e ci spiega che "si chiama arancina perché ha la forma del frutto". 

Dello stesso parere è Alessandro del Bar Alba che, forte di decenni di esperienza nel settore, esclude ogni dubbio e afferma con certezza che "il termine esatto è arancina, mentre fuori dalla Sicilia la chiamano supplì". Gli fa eco il proprietario del Bar Massaro di via Ernesto Basile che afferma con orgoglio che "aldilà del nome giusto o sbagliato, le nostre arancine sono le migliori della Sicilia".

In fondo a corso Vittorio Emanuele incontro poi una simpatica statuina di circa un metro e mezzo indicante la rosticceria di "Totò u vastiddaru" che vanta un fortunato passato da ambulante. "Non ci sono discussioni, si chiamano arancine".

Non poteva mancare all'appello il Bar Touring, che il 13 settembre del 1997 per il peso record delle sue arancine (280 grammi) si è guadagnato un articolo sul Giornale di Sicilia titolato: "L'arancina-bomba", con la 'a'. La proprietaria ci invita a parlare con l''esperto', Salvo, il banconista, che ci svela alcuni particolari della storia dell'antico manicaretto. "È stata inventata dagli arabi, era una palla di riso che noi siciliani, notoriamente golosi, abbiamo condito in modo appetitoso". Riguardo alla nostra indagine ci illustra la sua personale teoria: "L'arancina, che facciamo qui a Palermo, ha il ripieno di carne e piselli, mentre a Catania, dove la chiamano arancino, al posto dei piselli c'è la mozzarella".

Dulcis in fundo, a gettarci nuovamente nel caos quando credevamo di avere intravisto un barlume di luce, ci pensa il Bar Santoro di piazza Indipendenza che, a sorpresa, reca scritto sul banco della rosticceria 'arancini'. Incuriosita chiedo spiegazioni. "Scusa se te lo dico - mi chiede a sua volta il banconista - ma con tutti i problemi che ci sono nel mondo proprio a questo vai a pensare?"... e come dagli torto!?!?!



Per dare una soluzione definitiva ai cocenti dubbi non è rimasto allora che chiedere aiuto allo storico palermitano Gaetano Basile, direttore della rivista "Il Pitrè", esperto di tradizioni popolari e cucina siciliana, che dopo aver fatto un excursus storico, ha affrontato il problema linguistico risalendo alle origini etimologiche del termine.

Per adesso non definiamo il genere, ma limitiamoci alla pietanza. Quando nasce e come è fatta?
"Si tratta di un piatto della cucina araba, fatto di riso profumato di zafferano arricchito di verdure, odori e di pezzetti di carne. Normalmente veniva servito al centro della tavola in un unico vassoio e, come era consuetudine anche dei nostri contadini, ognuno per mangiarne allungava le mani. Un giorno per renderlo da asporto gli arabi ne fecero una palla simile ad una arancia, che impanata e fritta acquistò consistenza, tanto da resistere al trasporto. Inoltre parliamo di una vivanda che non va a male rapidamente e si mangia a temperatura ambiente".
In origine era ripiena di ragù come oggi?
"Era fatta solo di riso, a quel tempo il pomodoro doveva ancora arrivare dall'America. I primi acquisti della nobiltà siciliana di pomodoro sono datati 1852. Da quella data l'ortaggio diventò un affare entrando a pieno titolo nella cucina siciliana, tanto da poter parlare di un "processo di pomodorizzazione". Infine diventò uno degli ingredienti principali del ripieno dell’arancina, ma non aveva nulla a che fare con il piatto originale".

Quindi c’era la carne ma senza pomodoro?
"Alle origini non c’era un vero e proprio 'dentro' da essere riempito. L’idea del ripieno nacque parecchio tempo dopo. Una volta ad una festa ho fatto assaggiare alla gente l’arancina primitiva che fu trovata deliziosa anche se mancava il ripieno".

Oggi tra la Sicilia occidentale e la regione orientale dell'Isola c’è differenza nella forma o nel condimento?
"Sostanzialmente no. Anche se qualcuno per risparmiare sullo zafferano, soprattutto nel Messinese e in provincia di Catania, usa il sugo del pomodoro per colorare il riso. In questo modo l’arancina assume una colorazione e un sapore leggermente diverso. Per quanto riguarda le dimensioni, non esiste una misura standard, normalmente le arancine dovrebbe pesare 200 grammi (fanno eccezione quelle del Bar Touring di Palermo che sono di 280 grammi), ma a onor del vero non è che esista una regola culinaria che ne indichi il peso".

Bene, passiamo al nòcciolo dell'intervista. 
Si chiama arancina o arancino?
"Anche se qualcuno è ancora convinto del contrario si chiama arancina. Si tratta di una palla di riso con la forma e il peso dell'arancia, quindi arancina. Se si fosse scelto il termine arancino avrebbe avuto la forma dell’arancio (l’albero) o di un ramo. L’Accademia della Crusca è stata molto chiara in proposito: il frutto va al femminile, mentre l’albero da cui ha origine va al maschile. Il pero dà la pera, il melo dà la mela, l’arancio quindi l’arancia".

Ma consultando i maggiori dizionari italiani, abbiamo scoperto che il termine corretto sembra essere arancino? 
"Ne sono al corrente, ma è comunque un errore".

Ma come mai diventa arancino, soprattutto nella regione orientale dell’Isola?
"Alcuni col termine arancino non indicano l’arancina di cui stiamo discutendo, ma quella a forma di pigna, che non si chiama arancino ma supplì. La storia di questo manicaretto è un’altra. Fu inventato dai cuochi delle grandi casate per rendere più appetibile il riso ai rampolli nobiliari che si rifiutavano di mangiarlo. Nasce dal famoso dolce che si chiama “la fava del re”, un cake che si cucina per l’Epifania dove veniva nascosta una fava secca, in seguito d’avorio, d'oro o d’argento, mentre oggi è di ceramica. Il bambino che trovava nella sua fetta la fava diventava re per un giorno. Insomma una specie di arancina con la sorpresa, questa sorpresa, surprise, da noi diventò ‘u supplì".

Ma si può dire che l’arancina è nata a Palermo o comunque nella Sicilia occidentale?
"Di questo non possiamo essere certi, è un piatto che è nato in Sicilia nel periodo saraceno, quindi che l'inventore si chiamasse Giuseppe o Pasqualino o che provenisse da Catania o Agrigento piuttosto che da Palermo ci è impossibile determinarlo. Era una pietanza popolare, e in quanto tale non possiede un unico creatore".

Sul Traina, un dizionario siciliano edito a Palermo nel 1860, troviamo arancinu. Come si spiega? 
"Preciso che il migliore dizionario siciliano è quello di Vincenzo Mortillaro, che insegnò semiologia della lingua italiana all’Università di Bologna ai tempi in cui era rettore Carducci. Qui troviamo arancinu. A quell’epoca infatti non si era chiarito che il frutto andava al femminile mentre l’albero al maschile. A questo linguaggio ottocentesco comunque bisogna fare sempre molta attenzione. Ad esempio se cerchiamo il termine 'melanzana' non lo troviamo perché a quel tempo si chiamava petronciana".


Ecco dunque che l'arcano non poteva essere svelato meglio di così. L'aiuto "scientifico" di un cultore della lingua siciliana e della nostra storia regionale chiarisce ogni possibile dubbio.
Non siate dunque timidi di fronte ad amici aldiquà e aldilà dello stretto. La palla di riso ripiena ha un genere ben definito, ed è quello femminile!!