giovedì 20 marzo 2014

Cicatrici come oro...

Il Giappone, paese dalle enormi risorse emotive e umane ancora una volta mi sorprende. Perchè? Perchè lo sapevate che se un vostro vasellame, prezioso o affettivamente significativo si rompe, esiste il kintsugi? E' una tecnica di riparazione molto particolare che anziché nascondere le linee di frattura dell’oggetto con una incollaggio perfetto e coprente, segue tutt’altro criterio, rimarcando le stesse linee usando oro o argento fuso per riempire e quindi sottolineare il motivo frastagliato della lesione trasformando così l’oggetto in una nuova opera che non snatura affatto la forma precedente, ma semmai regala all'oggetto una cicatrice luminosa.

Il principio del kintsugi appare evidentemente opposto a quello che anima tutti noi allorquando avviene una qualunque rottura: pena, dolore, colpa, vergogna, fallimento, rovina, angoscia, perdita o lutto che sia.

“La vita è integrità e rottura insieme. La tua zuccheriera ora ha una storia ed è più bella. Il dolore ti insegna che sei viva, il solco che lascia deve essere valorizzato” 


Mostrare orgogliosamente le cicatrici sembra una modalità proveniente da epoche passate, fa pensare a certi rituali d’iniziazione delle tribù pre-colte. Fa pensare alternativamente a forme autopunitive o a forme esibizionistiche. Fa pensare, ad esempio, alla fierezza con la quale gli aborigeni australiani mostrano ai giovani iniziati l’orribile cicatrice sul proprio pene. Insomma roba d’altri tempi oramai seppellita nella nostra memoria collettiva e lì destinata a rimanere. Ma assieme a ciò che è destinato ad essere sepolto dal tempo rischiamo di seppellire anche le nostre capacità reattive o meglio le nostre possibilità resilienti, poichè oggi piuttosto vulnerabilità o fragilità personali, per non dire problematiche di salute più serie e invalidanti, ci iscrivono d’ufficio nelle categorie dei “diversamente qualcosa”, ci escludono in automatico dal market delle opportunità e della vita vissuta esiliando talvolta dalla pratica sociale secondo una mentalità fin troppo assurdamente diffusa.
Il kintsugi ci indica viceversa che ogni storia, anche la più travagliata, è fonte di bellezza e che ogni cicatrice è la cosa più preziosa che abbiamo.
Il kintzugi non è solo metafora di ri-storificazione e valorizzazione dell’esperienza, nonché metafora di cambiamento non-catastrofico, ma è anche metafora di articolazione delle parti col tutto, di trasformazione creativa della vita a partire dalla perdita di alcuni frammenti che non possono più essere reintegrati, di accettazione positiva di tale trasformazione che concepisce l’identità mobile e continua allo stesso tempo.
La zuccheriera di prima non c’è più, ce n’è una nuova che ricorda molto la precedente, che è fatta al 90% della stessa materia, ma ricombinata in un modo differente a partire dalla caduta. La vera differenza sta nel fatto che questa nuova zuccheriera è però un’opera d’arte. Oro al posto della colla. Metallo pregiato invece di una sostanza adesiva trasparente. E la differenza è tutta qui: occultare l'integrità perduta o esaltare la storia della ricomposizione?  
Chi vive in Occidente fa fatica a fare pace con le crepe. "Spaccatura, frattura, ferita" sono percepiti come l'effetto meccanicistico di una colpa, perchè il pensiero digitale ci ha addestrati a percorrere sempre e solo una delle biforcazioni: o è intatto, o è rotto. Se è rotto, è colpa di qualcuno.
Dobbiamo prendere spunto da questa lontana cultura e comprendere che il dolore è parte della vita. A volte è una parte grande, e a volte no, ma in entrambi i casi, è una parte del grande puzzle, della musica profonda, del grande gioco. Il dolore ti lascia più saggio, a volte. In alcuni casi ti lascia più forte. In entrambe le circostanze, il dolore lascia il segno. Sempre. Un segno che faremmo bene tutti a iniziare a materializzare con l'oro.



lunedì 3 marzo 2014

IL DIO DEL MATRIMONIO E LA LEGGENDA DEL FILO ROSSO DEL DESTINO

Durante la Dinastia Tang c’era un tale di nome Wei i cui genitori morirono quand’era ancora molto giovane. Una volta diventato grande desiderava ardentemente sposarsi e avere una famiglia, ma purtroppo, per quanto la cercasse, non riusciva a trovare una moglie.

Mentre era in viaggio, giunse un giorno in una città di nome Song, dove trovò alloggio in una locanda. Lì incontrò uno sconosciuto al quale, chiacchierando, espose le proprie difficoltà. L’altro gli disse che la figlia del governatore della città sarebbe stata un buon partito per lui, e si offerse di parlare con il padre della ragazza. Dopodiché i due decisero di rincontrarsi il mattino dopo di buon’ora davanti al tempio vicino alla locanda.
In preda all’ansia, Wei giunse al tempio prima dell’alba, quando la luna era ancora alta in cielo. Sui gradini del tempio, appoggiato con la schiena a un sacco, sedeva un vecchio, intento a leggere un libro alla luce della luna.
Avvicinandosi e data un’occhiata alle pagine da sopra la spalla del vecchio, Wei si accorse di non poterne leggere neppure una parola.
Allora, incuriosito, gli chiese: “Signore, che libro è quello che stai guardando? Fin da bambino ho studiato parecchie lingue e conosco molte scritture, ma mai in vita mia ho visto un libro simile.”
Il vecchio rispose sorridendo: “E’ un libro proveniente dall’Aldilà”.
“Ma se tu vieni da un altro mondo, che ci fai qua?” chiese Wei.
Prima di rispondere il vecchio si guardò attorno, quindi disse: “Ti sei levato molto presto. Di solito non c’è in giro nessuno, tranne quelli come me. Noi dell’Aldilà, incaricati di occuparci delle faccende umane, dobbiamo andare qua e là tra gli uomini, e spesso lo facciamo nella luce crepuscolare dell’alba”
“E di che ti occupi?”
“Dei matrimoni” replicò l’altro.
Allora Wei gli aprì il suo cuore: “Sono solo al mondo fin dall’infanzia, e da molto tempo avrei voluto sposarmi e avere una famiglia. Per dieci anni ho cercato invano una sposa. Adesso spero di sposare la fanciulla del maresciallo. Dimmi, si realizzerà la mia speranza?”
Il vecchio guardò il libro e rispose: “No. Non è la persona a te destinata. In questo momento quella che sarà tua moglie ha solo tre anni, e la sposerai quando ne avrà diciassette.”
Deluso dall’idea di dover aspettare tanto, Wei notò il sacco cui il vecchio si appoggiava e gli chiese cosa contenesse.
“Filo rosso per legare i piedi di mariti e mogli. Non lo si può vedere, ma una volta che sono legati non li si puo’ più separare. Sono già legati quando nascono, e non conta la distanza che li separa, né l’accordo delle famiglie, né la posizione sociale: prima o poi si uniranno come marito e moglie. Impossibile tagliare il filo. Sicchè, visto che sei già legato alla tua futura moglie, non c’è niente da fare” rispose il vecchio.
E alla nuova domanda di Wei il vecchio replicò che la futura sposa non viveva lontana da lì, e che era la figlia della vecchia Chen, che aveva un banco sul mercato.
“Posso vederla?”
“Se davvero lo desideri, te la mostrerò, ma ricordati che il tuo futuro non cambierà.”
Ormai l’alba era spuntata e, visto che l’uomo che attendeva non si vedeva, Wei tutto eccitato seguì il vecchio al mercato.
Dietro la bancarella di frutta e verdura stava una povera vecchia cieca da un occhio, con una bambinetta al collo di circa tre anni, tutte e due vestivano di stracci.
“Ecco tua moglie” fece il vecchio indicando la piccina, e Wei replicò in preda alla delusione: “E se io la uccidessi?”
“E’ destinata a portare ricchezze, onori e rispetto alla tua famiglia. Qualsiasi cosa tu faccia, non puoi cambiare il destino” e così dicendo il vecchio scomparve.
Profondamente deluso e incollerito con il messaggero dell’oltretomba, Wei lasciò il mercato con intenzioni omicide. Trovato un coltello e résolo affilato come un rasoio, lo diede al suo servo dicendogli: “Hai sempre eseguito i miei ordini. Adesso va’ a uccidere quella bambina, e io ti compenserò con cento pezzi di rame.”
Il giorno dopo il servo, nascosto il coltello nella manica, andò al mercato e, celato tra la folla, si fece strada fino alla vecchia e alla bambina. Di colpo cavò il coltello, colpì la piccola, si voltò e scappò via, confondendosi con la folla strillante in preda al panico.
“Ci sei riuscito?” gli chiese Wei quando il servo si presentò.
“Ho cercato di colpirla al cuore, ma invece l’ho colpita tra gli occhi”
Il ragazzo ricevette il compenso pattuito e Wei, sollevato all’idea di essere libero di sposare chi volesse, continuò la sua solita vita, e col tempo si scordò dell’intera faccenda.

Tuttavia i suoi tentativi di trovare moglie furono vani, e così trascorsero quattordici anni. A quell’epoca lavorava in una località chiamata Shiangzhou, e le cose gli andavano molto bene, tanto che il suo superiore, il governatore locale, gli offrì in moglie la propria figlia. Così finalmente Wei ebbe una moglie bella e di ottima nascita, una diciassettenne che amava moltissimo.
Non appena la vide Wei notò che la ragazza portava sulla fronte una pezzuola che non si toglieva mai, neppure per lavarsi e dormire. Non le chiede nulla, ma la cosa non cessava di incuriosirlo. Poi, parecchi anni dopo, si ricordò all’improvviso del servo e della bambina al mercato, e decise di chiedere alla moglie la ragione della pezzuola.
Piangendo lei gli rispose: “Non sono la figlia del governatore di Shiangzhou, bensì sua nipote. Un tempo mio padre era il governatore di una città di nome Song, e là morì. Ero ancora piccola quando morirono anche mia madre e mio fratello. Allora la mia governante, la signora Chen, ebbe pietà di me e mi prese con sé. Avevo tre anni quando mi porto con sé al mercato, dove un pazzo mi accoltellò. La cicatrice non è scomparsa, e per questo la copro con una pezzuola. Circa sette od otto anni fa, mio zio ritornò dal Sud e mi prese con sé, per poi maritarmi come se fossi stata sua figlia.”
“La signora Chen era per caso cieca da un occhio?” chiese Wei.
E la moglie stupita: “Sì, ma come lo sai?”
“Sono stato io a cercare di ucciderti” spiegò Wei profondamente commosso “Com’è strano il destino!”
Dopodiché raccontò l’intera storia alla moglie, e adesso che entrambi sapevano tutta la verità, si amarono più di prima.
Più tardi nacque loro un figlio che divenne un alto funzionario, e godettero di una vecchiaia felice e onorata.

domenica 2 marzo 2014

"Dove finì il suo libro, là iniziò la storia" - Ciò che di reale c'è in Mary Poppins


Con uno strepitoso Tom Hanks e una ancor più del solito favolosa Emma Thompson, "Saving Mr. Banks" è un film che non si può assolutamente non vedere, sia che da bambini abbiate o meno amato quella eccentrica tata di Mary Poppins. Il film è infatti una storia simpatica e sentimentale in cui si piange e si ride, proprio come ha sempre voluto Walt Disney, ma in esso si scopre anche una pellicola calda, impregnata di buoni sentimenti e aggiungerei perfino rassicurante nonostante il velo che cade e lascia scoperta la romanzata che noi tutti ricordiamo.  
Io da bambina ricordo d'essermi innamorata moltissime volte di Bert e di aver sognato svariate altre di incontrare da adulta qualcuno che prendesse la vita "coi gessetti colorati" e mi portasse per caroselli animati a prendere il thé. Sarà forse proprio merito di questo film se amo tanto gli aquiloni, in fondo. Sono elementi semplici fatti d'aria, sempre in lotta contro il vento, fragili ma al tempo stesso dotati d'una forza quasi smisurata perché sfidano costantemente la loro più grande debolezza per spiccare il volo nella direzione che forse è sempre un po' imposta dalla corrente della vita anche, e soprattutto, per noi.
Ed esattamente come cinquant'anni fa la Disney ci regalava "Mary Poppins" che ha fatto sognare, cantare e rallegrare milioni di bambini e di adulti, oggi per celebrare l'anniversario d'oro ci regala "Saving Mr. Banks" che per nulla sotto le aspettative ci fa invece venir voglia di seguire l'impulso e danzare, estasiati da un disincanto che è un po' il sale della vita quando in esso non si cova affatto delusione ma la perfetta convinzione che bastano semplicemente degli occhiali blu per portare una dose di cielo negli occhi di ciascuno di noi. 
"Saving Mr. Banks" racconta la travagliata genesi della pellicola e in particolare gli sforzi del produttore Walt Disney per convincere la cocciuta e stramba autrice P.L. Travers a cedergli i diritti per portare sullo schermo la celeberrima tata con l'ombrello. E certo, va saputo in anticipo che anche questa è una pellicola della Disney, per cui bisogna tener conto non solo dell'autocelebrazione ma anche del  necessario sentimentalismo e dell'impianto catartico per lo spettatore. Ciononostante nulla appare architettato vilmente anzi risulta tutto molto palese e sincero, considerato che non si pretende di creare un film di grande approfondimento psicanalitico, ma semmai di regalare allo spettatore quel desiderio di dar corpo ai sogni che in molti dimenticano crescendo. Si omaggia inoltre la creatività dietro alla realizzazione di un capolavoro e se ne sottolinea la potenza come modo di superare e vincere le difficoltà della vita e aggiustare le ferite di un cuore spezzato come quelle di un aquilone.
Le straordinarie interpretazioni di Tom Hanks ed Emma Thompson, che davvero a questo punto rimane inspiegabile come mai non sia stata candidata all'Oscar, concedono al tutto un valore aggiunto di grande spessore e professionalità, e con essi Colin Farrell che a dispetto di chi lo ha definito deludente, stranamente piatto e monocorde, a me è invece piaciuto molto così come divertenti e talvolta emozionanti gli scambi tra Mrs. Travers e il suo autista Ralph, un essenziale e perfetto Paul Giamatti. 

A mio avviso insomma, concludendo, è una storia da guardare con occhi sgranati e senza le pignolerie di un cinefilo intransigente perché se è vero che in essa vi sia una buona dose di ruffianeria, in ogni caso John Lee Hancock adempie perfettamente al compito datogli e trova in noi piena approvazione.