giovedì 31 marzo 2011

Il coltello ha il manico sempre dalla parte sbagliata

Ricordate la vicenda di quella II D del Liceo Classico Garibaldi di Palermo?? Beh, a quanto pare volge al termine e non è un termine felice.
I genitori di alcuni alunni hanno scritto una lettera di scuse sconfessando le affermazioni dei loro figli.
Gli alunni sono stati interrogati dalla preside in presenza della professoressa contestata, che ovviamente ha negato ogni addebito.
Da notare che una delle imputazioni più gravi nei confronti dei ragazzi è volantinaggio abusivo, per aver distribuito la famosa lettera all’interno dell’edificio scolastico senza autorizzazione. Ma si può essere così manifestamente contro la dignità delle persone?…
Ma anche se la cosa non fosse emersa, in realtà l’autorizzazione loro l’avevano.
L’avevano chiesta a un’insegnante che, forse sottovalutando la portata eversiva della lettera, aveva acconsentito.
Quando poi la lettera è diventata pubblica, una dirigente scolastica si è precipitata in classe intimando: Chi vi ha autorizzato?
Panico. La classe ha vacillato. L’insegnante è impallidita. Nel giro di cinque secondi però, come in una scena da libro Cuore, Bianca (la ragazza che i compagni difendono) si è alzata e ha detto: non ci ha autorizzato nessuno.
Gli altri sono rimasti in silenzio.
L’insegnante ha tirato un sospiro di sollievo, ben guardandosi dal prendere posizione.
E così i ragazzi si sono costituiti all’autorità competente per pagare il fio delle loro colpe.
Ah: i genitori hanno ritirato Bianca da scuola. Il pianto collettivo, professori compresi, al momento dei saluti ve lo risparmio in nome della sobrietà.

mercoledì 30 marzo 2011

lunedì 28 marzo 2011

Narcotizziamoli tutti

Un noto brocardo siciliano recita ”addatta e chianci” ad indicare che tutto può essere ben accettato a testa bassa senza troppe storie. Non serve arrabbiarsi e indignarsi. Non c'è nulla di guadagnato nel combattere un invisibile nemico che ti opprime costringendoti al silenzio perchè "tanto le cose non cambieranno mai. Voi giovani non volete capire che alla vostra età siamo tutti stati idealisti, tutti immaginavamo un mondo migliore ma è un mondo che non arriverà mai."
Ma allora, mi volete spiegare perchè realtà che noi giovani immaginiamo esistono altrove? Si, è vero, ci sono migliaia di chilometri a separarci da quel genere di vittorie morali e civiche ma perchè mai arrendersi ad un inevitabile che invece può essere cambiato? Perchè arrendersi ad una verità che è pura finzione?
In questi giorni leggendo del "problema Lampedusa", mi sono resa conto che c'è tanta gente che pensa a vanvera e parla in maniera ancora più sconnessa. Tanti asseriscono che il vittimismo dei cittadini dell'isola di Lampedusa è solo un modo per mascherare interessi che invece a loro fanno gola, perchè più si lamentano del problema degli immigrati, più giornalisti e organizzazioni umanitarie si interessano a loro e vi si recano aumentando il PIL che nei mesi invernali invece rimarrebbe estremamente basso.
Ora, pur non volendo prendere le parti dei Lampedusani in maniera acritica, come si può straparlare di un fenomeno che è sotto gli occhi di tutti e addirittura ipotizzare che ci si lamenta solo perchè fa comodo lagnarsi?? Che quell'isola sia ponte verso l'Europa è evidente anche all'idiota più inesperto e se, come conseguenza eventuale delle migrazioni di massa, l'economia di quella terra subisce un rialzo, perchè trasformare tutto in un becero opportunismo di stampa? Se proprio taluni si sentono infastiditi da simile condizione, perchè non si adoperano perchè anche altre regioni d'Italia possano ospitare i migranti e avvantaggiare il loro proprio PIL locale?
A me pare che per troppo tempo, la strategia del potere sia stata quella di allettare le masse e decapitarle. Allettarle coi favoritismi e decapitarle dei loro punti di forza come la solidarietà reciproca e la caparbietà degli animi. Ad ogni ondata di emigrazione c'è sempre stato chi si è esposto e puntualmente c'è stato anche chi è stato mobbizzato e costretto addirittura lui stesso a dover partire per primo. Tanto gli altri si accontentavano e si adeguavano. Insomma si scremava il meglio per narcotizzare la maggioranza creando l'illusione di una non-necessità che invece andrebbe solo accolta ed aiutata.

Indovina chi è l’ultimo??

La Lega ovvero "banda di mongospatici in verde" ha tappezzato la città di Bologna con questo manifesto, affermando che non c'è nulla di razzista o offensivo in quello che rappresenta ma che addirittura sarebbe una mera rappresentazione della realtà. Ora con tutto il rispetto che cerco di impormi per le menti insulse che partecipano al...la politica leghista, mi sorge spostanea una domanda: si può essere così deficienti, coglioni, stupidi, bestie, cretini, ebeti, ignoranti, imbecilli, rozzi, assurdi, mentecatti, minchioni, buffoni ma soprattutto ingiustificabilmente insopportabili??? E hanno pure la presunzione di dire che la loro è una politica che mira alla "vera uguaglianza". Si, certo come no, l'uguaglianza però in cui alcuni sono più uguali di altri!!!

domenica 27 marzo 2011

I ragazzi della II D del Liceo Garibaldi di Palermo

"Cari compagni di scuola,
siamo gli alunni della II D di questo istituto (…) Non trovate spaventoso anche voi che un'alunna presa di mira da un'insegnante per la propria esuberanza, per il proprio modo di fare aperto ed esplicito, senza mezzi termini, una di quelle poche e illuminate persone in grado di essere coerenti con ciò che dicono, nelle proprie azioni, ed una di quelle poche persone capaci di opporsi anche a una figura che potenzialmente potrebbe rovinarle, sia stata costretta, un anno dopo essersene vista parte, a lasciare la nostra classe?
Per noi questo non solo è spaventoso, ma è anche segno di un profondissimo degrado della scuola, che dimostra come questa sia malata non solo agli alti livelli - perché di questo siamo ben coscienti - ma anche alla sua stessa radice.
Che una ragazza straordinariamente in gamba, dal potenziale sorprendente, sia letteralmente costretta a cambiare classe è simbolo di un incommensurabile fallimento registrato dalla scuola pubblica; se anche questo evento riesce a verificarsi una sola volta, non va considerato come un caso isolato, al contrario rimane segno evidente della falla di un sistema che non assicura collaborazione per la diffusione della conoscenza, ma che mira a scaricare chi è capace di pensare e a salvare chi è capace di abbassare la testa, chi è bravo a rispondere 'sì', a sorridere e ad annuire, che è colui che avrà un futuro. Eppure l'articolo 34 della Costituzione della Repubblica Italiana dice che sono i capaci e i meritevoli ad avere diritto a raggiungere i gradi più alti dell'istruzione: forse c'è qualcosa che non va, non credete?
Che una professoressa possa scagliarsi contro un'alunna con tutte le proprie forze, con il fine primo di liberarsene è a dir poco scandaloso. Noi pretendiamo di avere voce, sebbene ci rendiamo conto di quanto sia difficile chiamare su di sé l'attenzione nella nostra scuola - e non ci riferiamo soltanto a questo istituto, ma all'intero sistema scolastico.
Vogliamo che tutti sappiano che al Garibaldi una professoressa si è permessa becere sperequazioni per un'estrema antipatia nutrita nei confronti di una nostra compagna (…)
Probabilmente anche nella tua classe - sì, nella tua, di te, che ti sei fermato a leggere questo foglio - si verificano situazioni di questo genere, e probabilmente anche tu hai commesso l'errore di permettere che queste avvenissero, ebbene, un altro degli scopi di questa lettera è quello di tentare di modificare il radicato modo di pensare per cui "queste cose non si cambiano".
Noi riteniamo che non sia lecito, per un rappresentante di un sistema il cui fine è educare, farsi portatore di un atteggiamento in grado di fondare vero terrore nel proprio oggetto; di un atteggiamento capace di operare una divisione forte quanto quella di una classe da un suo membro.
Perdendo una nostra compagna ci sentiamo davvero mutilati di una parte fondamentale di noi stessi, e ci sentiamo così semplicemente perché lo siamo realmente. Non avere la possibilità di attraversare il quinquennio al Garibaldi con una nostra amica soltanto perché questa è entrata nelle antipatie di una professoressa è una condizione alla quale ci opponiamo! Non possiamo permetterci di acconsentire, perché non vogliamo vederci sostenitori di un sistema in cui non è il merito ad essere premiato, ma la semplice ipocrisia.(…)"

Naturalmente sono ancora tutti in attesa che la verità dei fatti venga stabilita, ma a mio avviso leggendo questa lettera emerge che non ha davvero nessuna importanza chi abbia torto e chi invece ragione. Conta piuttosto quel che di umano si coglie in tale accorata lettera.
Qualcuno potrebbe dire che questi alunni si sono lasciati prendere dalla rabbia e che la professoressa in questione abbia tenuto da parte sua un comportamento inappuntabile ma leggendo questo vero e proprio concentrato di solidarietà e coraggio da parte di un gruppo di quindicenni ho pensato che forse un seme di speranza da qualche parte è stato salvato. Probabilmente sono destinati a perdere. Ma se riusciranno a rimanere uniti anche in futuro, faranno parte di una generazione che dopo tantissimo tempo è la prima a vincere.

venerdì 25 marzo 2011

Io sono di sinistra (?)

http://www.rai.tv/dl/RaiTV/programmi/media/ContentItem-3d9460ba-5ac5-460d-a457-c716b23127a7.html#p=0

Immortalità

C’è una cosa che non comprendo. E’ una cosa molto grande; forse l’ho imparata a memoria, ma pian piano torna indietro, in testa, e mi conferma che l’ho imparata senza conoscerne il significato. L’ho presa per buona.

Per esempio, ho sempre pensato che chi vive bene, seguendo le regole scritte e non del vivere sociale fosse nel giusto. Ovviamente con tutta l’elasticità del caso. In medias res, dicevano in latino; poi però anche loro avevano poco equilibrio. Tuttavia, quello che rimane di questa filosofia è proprio il fatto che ogni estremo dev’essere limato per poter vivere in pace con sé stessi e col mondo. Per questo non capisco la vita di un berlusconi qualsiasi che vive nel più totale interesse di sé. Passerà anche questo, spero.

Ciò che non capisco riguarda anche i comportamenti tra piccoli gruppi i persone, che cercano di agire sopra ogni sospetto, dimostrandosi intelligenti; eppure, poi, non sono altro che primati, con valori da primati.

Cos’è dunque la lealtà, l’amore, la vita stessa se poi ognuno fa quello che desidera, anzi, puro desiderio, incontrollato, smisurato, esplosivo. Se tutti facessimo così, il mondo sarebbe finito da tempo (anche se c’è ancora tempo per farlo finire così). Però chi gode? L’impiegato ligio al suo lavoro, che si fa quarant’anni in ufficio, prende poi la sua pensione, intanto si fa una famiglia, la moglie lo tradisce non perché lui sia noioso, ma per provare nuove emozioni, distruggendo però i sentimenti del matrimonio stesso, facendolo crollare in una solitudine vischiosa e assassina? Oppure lo sregolato, che vive così tutto il tempo, passando da una storia ad un altra, truccando nel suo lavoro per avere più tornaconto personale e finendo poi a morire solo?

O ancora chi vive a metà di questo, cioè nonostante qualche piccolo tradimento di fiducia, alla fine vive secondo una serie di regole che non colpiscano troppi, ma solo alcuni (sì, perché qualunque cosa si faccia, si finisce sempre per scontentare qualcuno)? Dove sta la vera verità? Esiste?

Vorrei un esempio del contrario. Vorrei trovare una verità che vada bene anche a me, ma non a discapito di altri, bensì a favore di tutti. O forse non sono anch’io un estremista? Se in questo ragionamento vogliamo dirla tutta, nella ricerca estrema di Valori Universali, non c’è una mancanza di equilibrio? E la lealtà vale sempre? Se no, dove deve essere labile?

Forse non troverò risposta. Se qualcuno leggesse e avesse voglia di dire la sua è pregato di farlo. Però io probabilmente rimarrò nel dubbio. Un dubbio scrostante, sia ben chiaro. E pensare che conosco persone che mi direbbero di smetterla, del fatto che vivo troppo pesantemente; che la vita è leggera e così bisogna viverla. Che sto sbagliando l’approccio, che dovrei sorridere di più, che dovrei fregarmene un po’ di più; che è anche per questo che non parlo più con queste persone o se parlo con loro non vado più in profondità di “che tempo fa da quelle parti?”, perché é questo che loro desiderano, a questa domanda loro sanno rispondere, la sicurezza del paesino che si sono costruiti attorno, pieno di chi ti conosce e in cui puoi trovare la pace; o quello che credi lo sia. A discapito di chi vive fuori da quel paese mentale in cui tutti sorridono e niente va male. Ma, hey: occhio non vede, cuore non duole! Quindi chissenefrega!

(... anche se ... anche se va male eppure tu non vuoi vederlo. Anche se forse hai agito in un modo in cui chi ha ricevuto il colpo non se lo meritava così tanto, se non fosse perché almeno non si è comportato così con te. Che forse il lavoro che fai danneggia molte persone, ma ne salva altre quindi é giusto. E’ davvero giusto? E’ davvero giusto fare qualcosa che fa del male, solo per dare vantaggio ad altri? E’ davvero giusto accettare valori fasulli ciecamente, perché altri dicono che sono quelli giusti? O ancora, agli occhi della Storia, giusto è colui che vince?)

PS: se alla fine della lettura ti senti stanco e appesantito, tranquillo: passerà non appena chiuderai questa pagina.

Cuore fuorilegge

C’era una volta il Principe Azzurro. Arrivava al galoppo sul suo cavallo bianco sguainando la spada per salvare fanciulle rinchiuse in torri impenetrabili e antri oscuri di castelli stregati, prigioniere di draghi o vittime di un sonno incantato. Nei casi peggiori era temporaneamente trasformato in un rospo (o in una terrificante «bestia»), ma bastava il bacio d’amore della sua bella per farlo tornare in versione originale: affascinante ed eroico, pronto a tutto per la donzella del suo cuore.
Bene, rassegnatevi. Raccontate alle bambine che sono in voi che ormai è roba superata. Il principe delle fiabe che ci narravano prima di andare a dormire non esiste. Non si dà da fare per soccorrere fanciulle in pericolo, né tantomeno per conquistarle. Al massimo vi porta in giro a fare shopping e vi consiglia sui colori da abbinare. Perchè? È diventato gay!
Elvira Corona, inviata unimondo scrive:

Strana guerra quella che si sta combattendo in Libia. O forse no, non è una guerra. O si, è una guerra ma noi non stiamo combattendo visto che “finora non abbiamo sparato un solo missile” - come dice il ministro La Russa. E', comunque, la prima guerra/non guerra combattuta/non combattuta da un gruppo di “volenterosi” autorizzati da una risoluzione del Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite.

E, come sempre in tempi di guerra, le notizie dei giornali e delle reti generaliste sono pressochè simili. Ci si scambia presunti autorevoli ospiti da intervistare, si mandano in onda servizi con le stesse immagini - effetto della globalizzazione dell'informazione o tentativi di manipolazione dell'opinione pubblica - per far credere alla casalinga di Voghera che la guerra è l'unica soluzione.

Oltre gli appelli delle associazioni pacifiste che denunciano che “così non si difendono i diritti umani”– e basta un po' di buon senso per capirne le ragioni – ci sono anche una serie di paesi che dichiarano il loro “no alla guerra”, chiedendo maggiore voce in capitolo nelle decisioni così rilevanti e mettendo in discussione l'organo internazionale più importante che dal 1948 a oggi ha fatto il bello e il cattivo tempo: il Consiglio di Sicurezza della Nazioni Unite.

Sono i paesi dell'America Latina, alcuni dei quali siamo abituati a chiamare emergenti, ma che ormai sono emersi e reclamano l'attenzione che finora non gli è stata concessa, Brasile in primis.

La neo-presidente Dilma Rousseff ha affermato martedì scorso che il suo paese è a favore di una soluzione pacifica del conflitto. “L'intervento militare sta avendo l'effetto contrario a quello desiderato e anziché proteggere i cittadini libici provocherà più morti” – ha dichiarato la Roussef da Manaus. E ha specificato che “Non è solo una nostra posizione, ma è anche quella di Germania, Cina, India e Russia”. Tutti i paesi che si sono astenuti nella votazione dello scorso 17 marzo, e gli ultimi tre insieme a Brasile e Sudafrica fanno parte del BRIC, il gruppo dei paesi emergenti che sta cercando di guadagnare sempre più spazi negli appuntamenti internazionali.

La Roussef ha quindi aggiunto che “Non ci potrà essere un Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite riformato senza che paesi come India e Brasile abbiano un posto come membri permanenti. Il Brasile oggi è la settima economia mondiale, tra pochi anni saremo la quinta, la quarta o forse la sesta, ad ogni modo non è concepibile un Consiglio di Sicurezza riformato senza che questo paese abbia un seggio permante”.

Anche Daniel Ortega presidente del Nicaragua ha chiesto “che termini l'aggressione contro la nazione nordafricana, che si finisca con le bombe e si promuova un meccanismo di dialogo”. E anche lui si è espresso sulla decisione del Consiglio di Sicurezza: “Se sono decisioni che mettono a rischio tutto il mondo sarebbe più logico che queste decisioni vengano prese dall'Assemblea Generale e che i 192 paesi decidano dopo una discussione”.

Dall'Uruguay anche Pepe Mujica si è unito al coro dei contrari affermando che “Pretendere di salvare vite umane con i bombardamenti è un controsenso inspiegabile” aggiungendo che “questo attacco implica un retrocedere dell'ordine internazionale vigente”.

Negli ultimi giorni oltre a Brasile, Nicaragua, Venezuela e Uruguay, anche Argentina, Bolivia ed Ecuador hanno condannato l'intervento armato, mentre è appoggiato da Perù e Colombia, quest'ultima votando la risoluzione come membro non permanente del Consiglio di Sicurezza.

Il gruppo dei paesi dell'ALBA (Alianza Bolivariana de Nuestra America) con il Venezuela in testa, aveva persino proposto una mediazione qualche giorno prima che venisse votata la risoluzione n.1973, ma è stata lasciata cadere nel vuoto dalla comunità internazionale che invece ha preferito l'alba dell'odissea.

Nonostante questo, la crisi libica – che ha risollevato le voci per un’effettiva riforma del Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite e dei suoi meccanismi decisionali – appare come il preludio che indica che stavolta, forse, siamo finalmente all’alba di qualcosa di nuovo. Che tutti ci auguriamo non sia l’ennesima poltrona riservata a chi può decidere di dichiarare la guerra.

Ripassando un po' di storia

1911: Il liberale Giolitti scatena una guerra coloniale contro la Turchia che dominava la Libia. Un contrattacco arabo-turco sorprende i bersaglieri italiani e ne uccide 500. La repressione è spietata: oltre 2000 arabi sono fucilati o impiccati e 5.000 vengono deportati in Italia.

1930: La resistenza libica era molto forte in Cirenaica. Il generale Rodolfo Graziani, inviato da Mussolini, mette “a ferro e fuoco” tutta la zona. Confisca i centri spirituali e assistenziali e sbarra con campi minati la frontiera con l’Egitto, annienta le mandrie e brucia i raccolti, usa gas e armi chimiche contro i civili. Tutta la popolazione dell’altopiano della Cirenaica, cento mila libici, viene deportata in campi di concentramento nel deserto della Sirte. In 40mila moriranno per fame, epidemie, violenze, uccisioni. Per tre anni staranno rinchiusi in questi campi delimitati da doppio filo spinato. Ogni atto di ribellione o tentativo di fuga era punito con la morte. L’impiccagione avveniva a mezzogiorno, al centro del campo, dove tutti erano costretti a radunarsi. Ogni giorno, dicono i sopravvissuti, 50 cadaveri uscivano dal recinto.

1943: Finisce il periodo coloniale italiano in Libia. Nonostante un sistema infrastrutturale e civico l’eredità italiana è disastrosa: il 94% della popolazione è analfabeta, la mortalità infantile è al 40%, il reddito procapite non supera le 16 sterline all’anno, la struttura sociale è arretrata e solo 13 libici sono laureati, tra di loro non c’è nessun medico.

1956: Un trattato (ratificato con legge n. 843/1957) con il quale l’Italia acconsentiva al passaggio di proprietà di tutte le infrastrutture costruite dagli italiani in Libia e inoltre si impegnava a ripagare all’ex colonia i danni dell’occupazione.

1 settembre 1969: Tutto il governo italiano applaudì l’ascesa incruenta di Gheddafi che favorì la caduta della monarchia filo-occidentale del re Idris.

21 luglio 1970: Gli italiani furono privati di ogni loro bene, compresi i contributi assistenziali, finché furono costretti a lasciare il Paese entro il 15 ottobre del 1970. Dal 1970, ogni 7 ottobre in Libia si celebra il “Giorno della vendetta”, in ricordo del sequestro di tutti i beni e dell’espulsione di 20.000 italiani.

1976: Andreotti instaura un rapporto “molto franco” con Gheddafi. Plaude al libretto verde. Più tardi ne regalerà copia a Reagan.

1979: Gheddafi affida al regista siro-americano Mustafà Akkad l’incarico di girare in Cirenaica un Kolossal sulla resistenza libica contro gli italiani. A Cannes ottiene un buon successo ma non sarà mai ufficialmente proiettato in Italia. “Il film è sgradito” dirà il sottosegretario agli esteri Costa nel 1981 e nel 1987 una proiezione a Trento verrà proibita dalla Digos.

15 aprile 1986: Dopo un attacco alla discoteca La Belle di Berlino: 3 morti (2 dei quali sottufficiali statunitensi e centinaia di feriti) Gheddafi fu attaccato militarmente per volere del presidente statunitense Ronald Reagan: il massiccio bombardamento ferì mortalmente la figlia adottiva di Gheddafi, ma lasciò indenne il colonnello, che era stato avvertito del bombardamento da Bettino Craxi, allora Presidente del Consiglio in Italia. A seguire Gheddafi lanciò due missili Scud B contro l’isola di Lampedusa. Gli ordigni, fortunatamente, caddero in mare. La reazione militare italiana fu un pattugliamento delle acque di Lampedusa.

21 dicembre 1988:
Esplode un aereo passeggeri sopra la cittadina scozzese di Lockerbie: perirono tutte le 259 persone a bordo oltre a 11 cittadini di Lockerbie. L’ONU attribuì alla Libia la responsabilità di questo attentato aereo e chiese al governo di Tripoli l’arresto di due suoi cittadini accusati di esservi direttamente coinvolti. Rifiuto di Gheddafi. Le Nazioni Unite approvarono la Risoluzione 748, che sanciva un pesante embargo economico contro la Libia. Nel febbraio 2011, intervistato dal quotidiano svedese Expressen, l’ex ministro della giustizia Mustafa Mohamed Abud Al Jeleil ed attuale leader dei rivoltosi ha ammesso le responsabilità dirette del colonnello Gheddafi.

1989: A un vertice del G7 a Tokyo, nell’ 89 Reagan raccomandò Andreotti nell’aver mano ferma con il demone libico. Andreotti lo assicurò: “ma è un uomo leale ed ha un grande spirito religioso. Credo che quasi certamente finanziò gli integralisti islamici nel mondo, all’inizio, ma ora non più”.

Luglio 1998: Durante l’accordo Dini-Mountasser l’Italia “ esprime rammarico per le sofferenze arrecate al popolo libico a seguito della colonizzazione” e accetta le trentennali richieste libiche: aiuto ai tecnici libici per individuare i vecchi campi minati, risarcimento delle vittime saltate su quegli ordigni dimenticati e indagine sulla sorte dei deportati libici. Inizia la politica di ricatto sull’emigrazione.

2004: Il Mossad, la CIA e il Sismi individuarono una nave che trasportava la prova che Gheddafi possedeva un arsenale di armi chimiche. Invece di rendere pubblica la scoperta e sollevare uno scandalo, Stati Uniti e Italia posero a Gheddafi un ultimatum che questi accettò.

2006: Gheddafi scatena una campagna d’odio contro l’Italia in seguito ad una esibizione irresponsabile del ministro Calderoli che aveva indossato una maglietta con la famigerata “vignetta satanica” di Maometto. Morirono 11 persone durante la protesta davanti al consolato italiano di Bengasi.

30 agosto 2008: Con la firma del “Trattato di amicizia, partenariato e cooperazione tra la Repubblica italiana e la Grande Giamahiria araba libica popolare socialista”, il Presidente del Consiglio dei ministri Silvio Berlusconi e il leader della Rivoluzione, Muammar El Gheddafi hanno voluto chiudere il contenzioso fra i due paesi.

14 maggio 2009: Il ministro Maroni consegna le prime tre delle sei motovedette a Tripoli per “i pattugliamenti di contrasto all’immigrazione clandestina nel mar Mediterraneo”. Nel settembre del 2010, da una di quelle motovedette, i militari libici spararono senza alcuna giustificazione e in acque internazionali contro il peschereccio italiano Ariete. Nessuna reazione da parte del governo italiano, pago di aver ricevuto delle scuse formali.

10 giugno 2009: Gheddafi si reca per la prima volta in Italia in visita di Stato. Il leader libico si è recato al Campidoglio, a La Sapienza, alla sede di Confindustria e ha incontrato le massime cariche italiane. Durante la visita di stato ha mostrato, appuntata sulla divisa militare, una foto dell’eroe della resistenza libica antitaliana Omar al-Mukhtar, suscitando “perplessità”.

16 novembre 2009: Gheddafi torna in Italia, a Roma, per partecipare a un incontro della Fao. Durante il suo soggiorno romano, organizza alcuni dibattiti su Islam e Corano con circa cinquecento ragazze hostess, raccogliendo 104 adesioni, regolarmente stipendiate per la presenza.

febbraio 2011: La rivoluzione dei gelsomini fa insorgere anche i giovani libici. Il regime usa la forza più violenta assoldando mercenari da ogni dove in Africa. Organizzazioni dei diritti umani denunciano migliaia di morti in diverse città libiche.

17 marzo 2011: Viene approvata la risoluzione ONU 1973: No fly zone; protezione dei civili, da subito, a Bengasi; divieto di voli commerciali da e per la Libia; rafforzamento dell’embargo sulle armi, ma escludendo esplicitamente una “forza occupante” in Libia.

20 marzo 2011: La Lega si dissocia dall’intervento militare. Bossi: Io penso che ci porteranno via il petrolio e il gas e con i bombardamenti che stanno facendo verranno qua milioni di immigrati, scappano tutti e vengono qua”.

21 marzo 2011: Frattini pone condizioni alla Comunità Internazionale. O la NATO prenderà il comando delle operazioni o l’Italia si riprenderà le sue basi militari.

22 marzo 2011: Berlusconi: “Sono addolorato per Gheddafi”.

Addolorato per Gheddafi?

Anche gli orecchiuti hanno un anima!

Molte persone credono che il coniglio sia un animale docile e timido, tipo un peluche da regalare come gioco ad un bambino, altri lo considerano insignificante e stupido, poco soddisfacente in confronto a quello che può dare un cane o un gatto. E qui sta il grosso sbaglio che le persone commettono! Per mia recente esperienza il coniglio è un animale intelligente, pieno di sorprese. E' curioso e riservato, talvolta un gran pigrone talaltra un vero scatenato, può essere molto affettuoso ma anche parecchio permaloso...ed è tutto questo insieme che li rende così particolari, divertenti ed affascinanti.
Io che ho sempre pensato che i conigli non fossero animali di gran compagnia, mi sono davvero ricreduta e ad essere schiettamente sincera mi sono proprio innamorata del pelosone che ho in casa. E' un vero coccolone e riesce sempre a farmi ridere con una delle sue piccole pazzie quotidiane. All’improvviso, di punto in bianco, si mette a correre a tutto gas da un lato all’altro della stanza, o comincia a fare dei balzi sulle quattro zampe, parallelamente al pavimento, o ancora girare su se stesso come una trottola, come un cagnolino che cerca di mordersi la coda. E stai sicuro che non è un coniglio schizofrenico ma un cucciolo molto felice. I conigli sono animali da scoprire e conoscere. Non sono per nulla scontati e per entrare davvero in contatto con loro bisogna osservarne e studiarne le abitudini ed i comportamenti. Quello stato di euforia o pseudo-raptus che spesso lo possiede mi faceva pensare inizialmente che avesse qualcosa di strano, che fosse impazzito, ma poi, studiando, chiedendo informazioni ed approfondendo il comportamento lapino, ho appreso che la gran parte dei conigli si comporta così. Da cuccioli lo fanno per due ragioni principali. Una è una ragione fisica: stanno acquisendo consapevolezza del proprio corpo, dei propri movimenti, insomma stanno imparando a coordinare tutto quanto e comportarsi così, con grandi balzi, scatti fulminei o corse improvvise equivale un po’ a fare “le prove” di come funziona il loro corpo.
La seconda ragione è che questi comportamenti e atteggiamenti sono divertimento puro per questi piccoli amici. La motivazione fisica con il tempo scompare, perché man mano che il coniglio diventa adulto non ha più bisogno di mettersi alla prova, di testare la propria coordinazione e acquisire maggiore consapevolezza del proprio corpo, ma la seconda motivazione, ovvero la piacevolezza, il divertimento, la gioia rimane. Ecco perché, anche se con minore frequenza, potrà sempre capitare di vedere un orecchiuto fare movimenti inconsulti!
In ogni caso i conigli hanno svariati modi per dimostrare la loro gioia e felicità e ci sono un sacco di cose che amano fare come gioco: amano danzare, sia in coppia che da soli per esempio (anzi, più da soli in verità). Mi è spesso capitato di vedere il mio coniglietto girarmi intorno alle gambe. È un invito a ballare con lui! Quando un coniglio ti trotterella attorno in circolo significa che ti vuole un sacco di bene, che in quel momento vuole divertirsi con te, perché è straordinariamente felice di vederti. Una risposta educata potrebbe essere quella di aspettare che faccia due o tre giri intorno alle gambe e poi fare altrettanto, girandogli attorno o muovendo qualche passo avanti e indietro verso di lui. Mi rendo conto che può essere imbarazzante soprattutto se qualcun'altro è presente pertanto per non ignorarlo, ma nemmeno spaventarlo, gentilmente offro lui qualche carezza dopo la sua performance.
Non tutti i conigli però sono teneroni ed affabili come il mio, alcuni sono un pochino più irruenti di carattere, un pochino più vivaci ed aggressivi. Questi tipetti a volte, oltre a girarti attorno, ti mordicchiano le caviglie. Non sanno di farti male, per loro è una dimostrazione di affetto. Il loro entusiasmo non è diverso da quello di un uomo che dà una pacca sul didietro pensando che sia un segno d’affetto. Un atteggiamento di sdegno e offesa in questo caso funziona bene con entrambe le specie, anzi, i conigli spesso capiscono molto più velocemente degli umani. Quel che è sicuro però è che il coniglio ha un'anima da gregario e come tale ama dimostrare la propria appartenza, certo lo fà a suo modo ma sempre nella massima spontaneità!

giovedì 24 marzo 2011

La più piccola di casa

Chissà quanti di noi riescono a datare il loro primo ricordo. Io ad esempio ricordo in maniera molto nitida uno dei miei primi momenti di coscienza infantile. Era estate e con i miei genitori eravamo andati a trovare i miei nonni che vivevano in un piccolo paese dell'entroterra siciliano. Avevo un vestitino azzurro su cui erano cuciti tanti delicati nastrini bianchi. Come andavo fiera di quel vestitino. Lo avevo notato in un negozietto della via roma ed avevo costretto mia madre a comprarlo perchè ne ero rimasta innamorata. Fu un vero colpo di fulmine durato poi anni perchè anche quando oramai era diventato troppo piccolo per essere indossato, mi piaceva tirarlo fuori dall'armadio e ammirarlo come fosse un dono prezioso da conservare per sempre. Non sapevo che qualche tempo dopo sarebbe finito tra le scorte che la mia mamma periodicamente portava al centro per poveri di Biagio Conti. Ricordo che scesa dall'auto, mio nonno mi accolse con una sua tipica espressione che io adoravo, a dir poco, e che ancora oggi immagino risuonare in una stanza quando sento l'esigenza di abbellire un certo momento di accuratezza stilistica da me realizzato. Fui talmente contenta di sentirgli pronunciare quella sola unica ma tanto cara parola che corsi con le mie "occhio di bue" ad abbracciarlo calorosamente.
Era il primo pomeriggio di un sabato di agosto, quindi c'era un caldo da rimanere con la lingua penzoloni come i cani ma mio nonno stava col suo cappello di paglia tra gli alberi d'olivo a preparare la gebbia per la sera. In veranda mia nonna sbucciava fave e piselli che sarebbero poi stati il nostro contorno per cena.
Adoravo quel momento, aprire i bacelli e far scivolare con le dita quelle piccole palline verdi e di nascosto mangiarne qualcuno. Così abbracciato il nonno mi fiondai sulla sedia di tela della veranda per partecipare a quella attività tanto ritmata. Spesso però i primi anni della nostra vita finiscono in quell'immenso accumulatore rappresentato dalla cosiddetta infanzia smemorata, di cui ricordiamo quasi niente ma che risultano importanti per la nostra formazione individuale. Da parte mia, mi sono sempre considerata abbastanza fortunata perchè di ricordi nitidi e pieni di dettagli ne ho davvero molti e per mia buona sorte anche dalle sfaccettature decisamente positive. I pomeriggi trascorsi con gli amici di quel tempo tra una gara in bicicletta ed una sui pattini. Le belle statuine del millenovecento che prendevano vita nello spiazzale di fronte casa insieme ad una bizzarra strega che comandava variopinti colori e quel delizioso ascaretto pralinato Moreno che mangiavo con una tale metodicità da prolungarne l'esistenza a dismisura. Prima tutto il cioccolato e poi pian piano la crema al gusto vaniglia che costituiva il ripieno. Giocare coi chiodini marca Coloredo, con relative lavagnette di diverse misure su cui si mettevano i piolini multicolori in modo da formare le figure che poi si potevano smantellare per ricominciare daccapo. Evitare che il Corriere dei Piccoli, tramite referendum fra i lettori si trasformasse in Corriere dei Ragazzi e seguire le avventure di Pucci, la cagnolina a pois dalle lunghe orecchie penzoloni. Non perdere neppure un numero delle Fiabe Sonore:("A mille ce n'è / nel mio cuore di fiabe da narrar…). Non andare a scuola, rimanere in casa la mattina degli ultimi giorni di maggio, quando c'era la Fiera del Mediterraneo e costringere mio padre a farmi portare sulle giostre o ad ammirare il leone Ciccio della Villa Giulia, qualche anno dopo portato via per colpa della bravata di un idiota introdottosi di nascosto nella sua gabbia. Collezionare i pupazzetti adesivi sagomati che si trovavano nelle confezioni da quattro del formaggino Mio. Possedere, orgogliosamente, una trottola in legno, in grado di rimanere in equilibrio sugli spigoli più inaspettati, o addirittura su un filo, che mio fratello mi aveva regalato
ed insegnato a far ruotare. Si lanciava e con movimento di polso prendeva forma ed energia su qualsiasi piano stabile persino il palmo della mano del mio papino. Quel periodo insomma è una nitida nebulosa infantile (e scusate l'ossimoro), fitta di suggestioni da scongelare e consumare con calma, nell'arco di tutta l'adolescenza, e anche oltre. Suggestioni che ancora oggi quando guardo un cielo stellato mi tornano in mente e mi strappano un sorriso nostalgico e talvolta malinconico. Ero solo una bambina, la più piccola di casa.

mercoledì 23 marzo 2011

Il più pulito c'ha la rogna

Gheddafi ha rimarcato che gli occidentali, non imparano mai le lezioni del passato, affermando: «L’attacco alla Libia è una nuova crociata contro l’Islam, ma sarete sconfitti, come già siete stati sconfitti in Iraq e in Somalia, come vi ha sconfitto Bin Laden» e come «siete stati sconfitti nel Vietnam». Egli si dimostra in tale occasione come il ladro che impugna la lama per scoraggiare ogni tentativo di reazione ma un tale invito a "pensarci bene prima di reagire" rende insicura ed incerta proprio l'onestà d'autodifesa di simili attacchi ed impoverisce quanti hanno in questi mesi lottato a mani nude e cuore aperto per una democratizzazione dell'Africa settentrionale.
Alla luce delle ultime notizie raccolte però tutto potrebbe risolversi su due alternative: stare dalla parte del popolo oppresso oppure dalla parte del pacifismo ad oltranza?? Mi rendo conto che sono due posizioni frustranti in quanto non si tratta di posizioni antitetiche. Razionalmente vorremmo tutti stare dalla parte del pacifismo ma istintivamente vorremmo stare dalla parte dei popoli oppressi. Sposare entrambe queste scelte però è possibile? Il mio timore è proprio che adesso pacifismo e interventismo non siano nemmeno più contrari ma purtroppo facce della stessa condizione di fallimento della politica estera degli ultimi decenni e dell'informazione.
Io mi auguro di tutto cuore che questo marasma trovi la soluzione che merita ma purtroppo per noi non è una soluzione semplice ed in ogni caso non può esservi una soluzione corretta in senso assoluto. Perchè se volessimo essegere garantisti fino alla fine, allora dovremmo fare i conti anche col fatto che Gheddafi, sebbene dittatore, è prima di tutto uomo e come tale titolare di diritti inviolabili, quegli stessi diritti di cui priva il suo popolo. In quanto "civilizzatori" in questi giorni, i continui attacchi aerei su quella zona di mondo, stanno dimostrando che tale dimensione di "civiltà" si è ormai persa da anni. Alcuni interessi sembrano più importanti di altri, purtroppo.
Ci sono sempre quelli che hanno le loro certezze: Pace o Guerra senza se e senza ma.
Però la seconda guerra di Libia si porta dietro qualche novità. In Italia, a Sinistra molti sono a favore dell’intervento contro Gheddafi, giustificandolo sulla base della sanguinaria repressione di una rivolta che era nata come pacifica.
Viceversa, molti degli interventisti di Destra, che ai tempi di Saddam irridevano alle “anime belle”, adesso sono diventati a loro volta pacifisti. Si scorge insomma molta confusione sotto il cielo. Forse però questo sparigliamento delle opinioni pubbliche non è poi un così cattivo segnale. Potrebbe essere il sintomo di una de-targettizzazione delle coscienze.
E dio solo sa quanto ci sarebbe bisogno di far circolare aria nuova nei cervelli.

martedì 22 marzo 2011

L'altoparlante esaurito

Nei miei ultimi viaggi mi è capitato di notare una strana ricorrenza forse non così tanto casuale. In apparenza potrebbe sembrare una questione di poco conto ma sono sicura che se ci riflettete un attimo da voi, riuscite a capire perchè la prima volta tutt'ad un tratto mi pervase il dubbio. La voce dell'aeroporto diceva: «Il signor Pincopallo è pregato presentarsi all'uscita cinque». Passa qualche minuto e: «…Pincopallo è pregato presentarsi…». E ancora: «…pregato presentarsi». Pregato. Presentarsi. Non "pregato di presentarsi". Ma pregato presentarsi. Senza il di. E questo perché? Forse che il "di" viene considerato un inutile orpello? Forse che passare direttamente da "pregato" a "presentarsi" sembra più ultimativo? O forse è un tic linguistico? Forse fra dieci anni tutti quanti diremo: «Sei pregato presentarti accompagnato dai genitori». Forse la particella di fra dieci anni sarà l'equivalente degli odierni "perdindirindina" e "corbezzoli". Forse per non farsi ridere dietro bisognerà dire: «cerca essere prudente» e «giuro esserti fedele». O forse è solo una annunciatrice sciatterella. Ma poi sali sull'aereo, parti, arrivi, sbarchi e l'altoparlante dell'aeroporto di destinazione ripete nuovamente: «Il signor Pincopallo è pregato presentarsi al banco informazioni». Ora, a parte che il signor Pincopallo potrebbe anche cercare di rendersi un tantino più reperibile, ovunque egli sia, la coincidenza mi rende comunque cogitabonda. Perché tutte le voci di tutti gli aeroporti dicono "pregato presentarsi"? Anzi: perché, fateci caso, la voce è la stessa in tutti gli aeroporti? Lo stesso timbro, identico, che gestisce i ritardi, gli smarrimenti e le comunicazioni di servizio di tutti gli scali del paese. Bisogna dedurne che si tratti di una singola annunciatrice superstressata e onnisciente o meglio superstressata in quanto onnisciente. Una annunciatrice capace di concepire e smistare tutte le piccole emergenze degli aeroporti d'Italia, forse del mondo e dunque dell'universo. Allora questa signorina è Dio.

lunedì 21 marzo 2011

Racconto zen

Era una mattina di marzo di qualche anno fà, come oggi, ma non ero a Trento. Ero nella mia bellissima e calda Palermo e la primavera aveva fatto capolino ormai da settimane. Si sa, da noi il sole riscalda anche a dicembre. Ero andata ai Cantieri Culturali della Zisa con la mia classe del liceo per l'inizio della "settimana di studi danteschi". Partecipavamo con un piccolo spettacolo e fu vicino al capannone Spazio Zero che notai un caos in via di ristrutturazione. Un caos come quelli che incontri spesso per la città ma qualcosa non quadrava. In tutto quello spazio diroccato c'era solo un piccolo operaio del Comune che lavorava. Ecco la stranezza, qualcuno lavorava. L'unico: gli altri erano tutti fuori a fumare.
Quell'anziano operaio si era piazzato proprio al centro dello spazio vicino al capannone. Aveva disposto due cavalletti ad una precisa distanza l'uno dall'altro, e su di essi aveva sistemato una sottilissima bacchetta di legno. Sarà stata lunga non più di una settantina di centimetri e l'operaio la stava dipingendo di rosso con estrema accuratezza.
Intorno a lui il caos era indescrivibile, ma l'operaio stava svolgendo il suo compito con estrema pazienza. Una pazienza zen, pensai. Mentre i suoi colleghi perdevano tempo tra una sigaretta ed un caffè, lui era rimasto al suo posto. Lavorava. Gli avevano dato un compito limitato e lui voleva svolgerlo nella maniera più coscienziosa possibile, indifferente rispetto al caos che lo circondava e sempre più concentrato ad ogni pennellata.
Così, quasi per premiarlo della sua abnegazione, gli chiesi: mi scusi, ma questa asticella dove andrà messa?
In mezzo a quel caos, la bacchetta di legno sembrava l'ultimo pensiero di cui occuparsi, una attività fin troppo prematura.
Lui rispose con un sorriso: no, questa è per casa mia.

domenica 20 marzo 2011

PierFerdy!

(In figura, un recente cartello elettorale dell'UDC, tratto da http://nonciclopedia.wikia.com/wiki/UDC)

Mi piacerebbe trovare risposta domattina; o anche fra qualche giorno. Mi basterebbe avere una risposta in generale...

[lettera inviata il 20-03-2011all'indirizzo mail di Casini, presso il sito della Camera dei deputati]

Gent Pier Ferdinando Casini,
le invio una mail che le scrissi già il 10/01/2011, in occasione della sua presenza al programma "Otto e mezzo", condotto da Lilli Gruber su La7.
La mail le fu recapitata, erroneamente, all'indirizzo udcitalia@gmail.it, e rimase comunque senza trovare risposta.
Dato che ho notato la possibilità di scriverle qui, mi son convinto a rispedirle quella mail, che trova in allegato al termine di questa, a cui vorrei che fornisse delle risposte. Se avesse delle domande a riguardo, le ricordo che si rifà alla suddetta data. Da allora qualche piccola cosa è cambiata; ma il succo resta eccome.
Un ultima questione: mi scuso per la mia incapacità di sintesi; visti i suoi impegni, so quanto sia importante. Ma spero non sia comunque un problema.
La prego di leggere e di inviarmi una risposta.
Cordiali saluti,
D.

"OGGETTO: domanda da potenziale elettore UDC‏

Gent Pier Ferdinando Casini,
Le vorrei porre una semplice domanda, a cui spero di ottenere una risposta efficace, concisa e chiara. Prima una brevissima premessa. Sono un neolaureato in ingegneria fisica, uscito dal politecnico di Torino con 110 lo scorso aprile, con riconoscimenti anche europei, visto il mio trascorso all'estero. Da allora, faccio parte di quel quasi 30% di disoccupati tra i giovani che, senza mezzi termini, rosicano il pane quotidiano.
Ecco finalmente la mia domanda. Gentile Pierferdinando Casini, dall'83 in politica (cioé fra due anni raggiunge il trentennale), che torna dai Caraibi tutto abbronzato e parla con non chalance dei nuovi poveri in Italia, quando nessuno di Voi politici ha fatto nulla per salvare quel neonato italiano figlio di italiani, morto ieri a Bologna a 20 giorni dalla nascita per il freddo, tanto per fare un esempio, misero come la miseria in cui versa l'Italia oggi giorno; ebbene, qual'è, Pierferdinando Casini, la sua utilità nell'Universo?
La prego, mi illumini; ma sia chiaro, non divaghi in chiacchere su patti di stabilità, pacificazione e quant'altro; non mi venga a dire la storiella dei cattolici che rappresenta (io sono cattolico, ma Lei NON mi rappresenta né mi rappresenterà MAI); e tralasci il discorso pieno di aggettivi che, di sicuro ha collezionato, ma che non sa proprio usare. Mi dia una risposta chiara. Le suggerisco di non usare più di cento parole, compresi gli spazi. Per un deputato di quasi 30 anni di lotta politica, non sarà un problema spiegarmi con tali parole la sua utilità nell'Universo.
La prego di farmi sapere.
Un potenziale elettore UDC,
D."

C’era un bardotto in fuga...

Molti si stupiranno del titolo che abbiamo deciso di dare a questo neonato blog, e si chiederanno il perchè di una tale scelta. In quanto autori, abbiamo un dovere di chiarezza. Tutto deriva dalla inattesa e casuale scoperta dell'esistenza di un così grande "anticonformista" del mondo animale, scoperta avvenuta per pura coincidenza "a cavallo" del confine svizzero-italiano e che ha poi, quasi per scherzo, portato ad approfondirne l'identità e la storia producendo invece una ancor più inattesa ammirazione.
Per chi, come molti, non conosce questo equino dal fascino inconsueto,  “Il bardotto è un ibrido, generalmente infecondo, che nasce dall'accoppiamento di un cavallo stallone con una femmina di asino domestico. Aveva un tempo maggior importanza economica, al giorno d'oggi i bardotti sono allevati raramente e quasi esclusivamente per la qualità della carne. Una zona tipica di produzione è la Sicilia.
Rispetto al mulo (che è l'incrocio contrario, cioè tra l'asino stallone e la cavalla) il bardotto presenta una maggiore somiglianza con l'asino e ha una criniera più folta. Ha le orecchie piccole come la madre e nitrisce, a differenza del mulo che raglia. Per ragioni di accoppiamento, il bardotto è il tipo di incrocio più difficile da ottenere.
Le norme di allevamento non differiscono particolarmente da quelle del mulo. Come il mulo, il
bardotto maschio è generalmente sterile (le femmine possono essere occasionalmente fertili). L’animale era conosciuto già in Mesopotamia, come animale da traino; fino ad alcuni decenni fa era allevato
principalmente in Sicilia, Spagna e Portogallo.
Un tempo il bardotto era utilizzato come animale da soma e da traino; nel corso del Novecento è stato impiegato dai ranghi militari per il trasporto pesante, soprattutto armi, munizioni e vettovagliamento.
In seguito alla meccanizzazione di molti lavori, il bardotto viene allevato principalmente come animale da macello. Le sue carni, come tutta la carne equina, sono apprezzate per l’alto valore nutritivo." (da Wikipedia.it, http://it.wikipedia.org/wiki/Bardotto).

Vi starete però ancora domandando cosa c'entri la Svizzera in tutto questo e soprattutto che relazione ci sia con il nostro bardotto!?!
Noi, autori de "Il bardotto impertinente", in questo paese che guarda all'Europa come ad un continente lontano e distante, ma che ne costituisce il cuore geografico, abbiamo trascorso svariati mesi, e dobbiamo ad esso la nascita della nostra stupenda amicizia, un gemellaggio piemonte-sicilia ormai più che biennale, portata avanti anche grazie ad un enorme bagaglio di ricordi e di amici comuni.  
Se avrete ancora un attimo di pazienza, il mistero sarà presto svelato...
La Svizzera non è in Europa. Confina con tutti, eppure non si apre a nessuno. Sarà anche una nazione pacifica e fraterna, ma è come un corpo senz’anima: ha tutto ciò per poter star bene ed una salute, ma le manca proprio ciò di cui avrebbe più bisogno. Già Orson Welles disse a riguardo: “In Italia, sotto i Borgia, per trent'anni hanno avuto guerre, terrore, assassinii, massacri: e hanno prodotto Michelangelo, Leonardo da Vinci e il Rinascimento. In Svizzera, hanno avuto amore fraterno, cinquecento anni di pace e democrazia, e cos'hanno prodotto? Gli orologi a cucù”.
Uno svizzero mi disse poi che il cucù era tedesco. Forse un italiano avrebbe mentito e sarebbe andato fiero del cucù.
C’è poi la dogana, che è la quinta essenza del paradigma svizzero. La dogana svizzera, una delle ultime dogane in Europa, mal tollera gli italiani e quello che rappresentano. Se ci sono tre automobili in coda davanti al casello, una olandese, una francese ed una italiana, allora ce ne sarà solo una ferma al controllo.
Nemmeno se quella olandese fosse un furgoncino Volkswagen colmo di una nebbia dolciastra; nemmeno se la station
wagon francese trasportasse un maiale vivo sul sedile passeggero. L’unica macchina ad essere fermata sarà una microscopica utilitaria con targa italiana, guidata da uno studente universitario solo ed intimorito dal pelato doganiere. Intimorito perché lui cela un segreto che il doganiere non dovrà mai sapere, oltre la legalità.
E’ un segreto losco, oscuro, malsano e che si rifà contro una legge antica come la Svizzera stessa. Come se quella Nazione federale fosse nata su quell’ossimoro di logicità. E il segreto pulsa nelle vene dello studente, come il Cuore rivelatore batteva nel petto dell’assassino. Sì, perché quel segreto losco, oscuro e malsano porta con sé una realtà di mistero, progetti mal riposti e latte. Tanto latte. Esattamente sette litri di latte più del consentito e nascosti sotto al sedile del guidatore e del passeggero.
Quattro occhi cercano di penetrare nel pensiero dell’altro (tra parentesi):
“Rien à déclarer?”, chiede il doganiere dopo aver fermato la macchina (“si je trouve même un seul poil en plus, je vais vous donner une fessée dans la prison”)
“Rien”, risponde lo studente seduto sulla bomba di latte bovino (“fammi passare e brinderò alla tua. Col latte, naturalmente”)
“Ok, tout va bien”, risponde uno svogliato doganiere (“Vous n'êtes pas mon type. En outre, il y a six et demi: je veux rentrer à la maison et boire un verre de lait suisse!”).
Ma non sempre il traghettatore di latte abusivo è stato così fortunato. Ci fu un giorno in cui venne perquisito per una certa carne, alimento ancor più illegale in svizzera, la carne di bardotto.
Sinceramente non conoscevo il bardotto e la sua storia, prima di attraversare il confine. E in un certo senso, ringrazio la Svizzera e i suoi limitanti doganieri che me l'han fatto conoscere sebbene io non capisca chi possa mai anche solo pensare di poter mangiare la carne di bardotto. Fu un avvenimento talmente bizzarro che non poteva rimanere circoscritto ai due attori che lo avevano reso unico, il piemontese che valicava il confine ed il doganiere pignolo, così fu presto argomento di racconto e, un po' per scherzo un po' per noia, divenne principio ispiratore per la creazione del nostro caro personaggio, un avventuriero equino dagli zoccoli curiosi che girava il mondo e di questo ne raccontava le percezioni. Nacque Otto il bardotto!
Il nome ispira l'italiano nobile che è in ognuno di noi: nitrisce e non raglia, ha una criniera più folta del mulo e nasce con un accoppiamento più difficile da ottenere. Ovvero, la selezione naturale, che predilige gli incroci rispetto al sangue puro, che non esiste.
D’altro canto, come l’italiano medio, è generalmente sterile (solo mentalmente, ahimè: la madre dei cretini, o leghisti, l’accezione sta cambiano anche sul dizionario, è sempre incinta), sfruttato come animale da traino e da soma; impiegato nei ranghi militari per il trasporto pesante, sopratutto armi, munizioni e vettovagliamento.
Eppure, come l'Italia nata dall'incrocio con tutte le culture mediterranee, il bardotto nasce se uno stallone vuole possedere una femmina dell'asino domestico. Perfetta metafora della nostra Italia unita, fin ora cavalla prolifica montata da qualche asino stallone (i nostri governanti, più asini che stalloni...), che potrà compiere il vero Risorgimento quando saprà risvegliarsi e risorgere, ovvero quando riuscirà a dar forza a quel bardotto sfruttato ed odiato, che lascia in silenzio, smettendo per una buona volta di darsi e regalarsi per pochi spiccioli ai governanti che son sempre più monarchi.

Quale destino più meschino, tragico e romantico?
Immaginiamo dunque un raro caso di bardotto virile e sfruttato, furbo e intelligente. Anzi immaginiamone uno impertinente, che del silenzio è stufo, che ha tanta voglia di nitrire e raccontare il mondo.

C'era un bardotto in fuga...